Norcia e il terremoto. In quei monasteri è nata l'Europa
Benedetto voleva sparire al mondo, al mondo corrotto di una città che lo aveva profondamente deluso, questo all’inizio era chiaro. Ci riuscì, ma diventò paradossalmente colui che la gente cercava, un segno che senza troppe chiacchiere mostrasse un nuovo modo di vivere la vita. Così diede vita alla fitta rete di monasteri su cui si fonda l'Europa.
Quella facciata rimasta lì, in sospeso, ricorda a tutti come le umane posse siano poca cosa.
Ma ricorda anche altro. Che forse proprio lì erano nati Benedetto e Scolastica, e che il primo sarebbe divenuto uno degli uomini più importanti della storia d’occidente. E qui le antiche testimonianze, in primis quella di papa Gregorio Magno che aveva attinto dalla viva voce dei discepoli di Benedetto, ci mettono davanti un diciassettenne umbro mandato a studiare a Roma e che comprende che la strada della fama nel mondo non faceva per lui.
Probabilmente nel giovane che se ne va dall’urbe e, con la sua nutrice, si arrampica sui boschi attorno ai ruderi della villa di Nerone, si stava rivelando un progetto differente da quello degli altri coetanei. Voleva sparire al mondo, al mondo corrotto di una città che lo aveva profondamente deluso, questo all’inizio era chiaro. Ci riuscì, ma diventò paradossalmente colui che la gente cercava, un segno che senza troppe chiacchiere mostrasse un nuovo modo di vivere la vita.
Sono le contraddizioni apparenti della vita. Quel giovane solo attirava molto di più che i proclami e gli scripta dei sapienti. Nonostante le belle parole, le gare di poesia, i proclami di immortalità dell’impero, i barbari erano arrivati fin sotto Roma, e quell’impero, in occidente, non c’era più. Ma questa storia non riguarda solo Benedetto persona.
Il suo retaggio ha fatto nascere monasteri, ha conservato libri, anche pagani, tanto per smentire l’accusa di aver salvato solo scritti cristiani, ha contribuito alla rinascita di una economia in profonda crisi, ed è diventato esso stesso argomento (chissà se il santo ne sarebbe stato contento) di letteratura.
Negli anni Ottanta del Novecento, ad esempio, c’è stato un vero e proprio revival del racconto al medioevo, in cui il monachesimo benedettino diventava, volente o nolente, protagonista: il giovane Adso da Melk del Nome della rosa (1980) è un novizio dell’ordo sancti benedicti che si trova a fare i conti con delitti e complicate strategie politiche durante la cattività avignonese. Qui Eco giocò senza crederci fino in fondo la carta dei francescani progressisti contro i benedettini conservatori. Ma, si sa, le mode sono mode, e in quel momento vi era una mai dichiarata ripresa della convinzione settecentesca che il medioevo fosse tutta una stagione buia e contrassegnata dal fanatismo religioso.
Eppure il dimenticato Il quinto evangelio di Mario Pomilio aveva ammonito cinque anni prima che le cose non stavano così, e che alcuni avevano continuato a cercare il messaggio di Cristo nelle pieghe della storia e di antichi libri celati nelle biblioteche monastiche. Già nell’Ottocento italiano e manzoniano, il monastero aveva avuto una sua rivalutazione, attenuata dalla messa all’indice del romanzo che operava quella ammirata rivalutazione, Il santo di Fogazzaro, che aveva visto la luce nel 1905. In uno dei luoghi di Benedetto, la Subiaco del Sacro Speco e di Santa Scolastica, si svolge la storia di un uomo che come il Benedetto ricordato da san Gregorio Magno, «se l’avesse voluto avrebbe potuto largamente godere gli svaghi del mondo, ma egli li disprezzò come fiori seccati e svaniti».
Piero Maironi ricerca altrove il senso della vita e del messaggio di Cristo. È in un luogo benedettino che egli troverà il coraggio di fare fino in fondo quella scelta e di trovare la nuova strada. Come i giovani romani che di fronte allo stupore di molti abbandonavano gli ozi e i lussi per seguire tra le montagne simbruine il sogno di una nuova vita e senza saperlo avrebbero contribuito a gettare le basi di un nuovo occidente.
Fabio Testi