Il capitale nascosto da riattivare della società
C’è un capitale umano – personale, sociale, culturale – che resta troppo spesso nascosto, trascurato, negato. Come superare la prassi dell’esclusione e far prevalere l’autentica inclusione? Questa è la domanda da cui partire, anche per cercare di superare la crisi economica.
Riporto un significativo racconto orientale
«Passando davanti a un negozio, un uomo vide che si vendevano due pappagalli, chiusi dentro la stessa gabbia. Uno era bellissimo e cantava stupendamente. L’altro era molto malandato e completamente muto. Stranamente, il primo costava cinquanta yen, mentre il secondo tremila. L’uomo, stupito e sconcertato per la differenza di prezzo, disse al mercante: “Mi dia il pappagallo da cinquanta yen!”. “Impossibile – rispose il venditore – non posso separarli: devo venderli insieme!” “Ma perché? Come spiegate una tale differenza di prezzo? Il più brutto costa molto di più ed è anche muto!! È assurdo!”. “Ah, non si inganni, signore! Il pappagallo che trovate brutto e muto è il compositore!”».
L’aneddoto si riferisce al rischio di non-vedere la vera identità, di essere indifferenti all’altro.
L’indifferenza sta, appunto, nel non cogliere la differenza e le risorse che la costituiscono. C’è un capitale, ma si tratta di un “capitale invisibile”, come si legge nel Rapporto Unesco-Faure del 1972: un “tesoro sommerso” in tante esperienze dell’umanità ingabbiata, nelle solitudini, nelle sofferenze, nel limite ammutolito dalla nostra sordità. Se questi talenti non li commerciamo, non li facciamo entrare in relazione, rischiamo di perdere il senso della “concertazione” umana, facciamo tacere quella esperienza creativa che, come per un compositore, dal nulla sa generare la musica. Tutti abbiamo uno spartito interno che possiamo manifestare. Abbiamo bisogno di diventare insieme “concerto”.
Se invece restiamo soli, sul piedistallo della nostra presunzione, o se trascuriamo l’altro, rischiamo di trovarci sconcertati, senza concerto! Anche nelle nostre scuole, dall’asilo-nido alle università, trascuriamo tanti elementi di questo “capitale umano”. Ma anche in famiglia, nel lavoro, nelle case di ricovero per gli anziani, dovunque. I famosi Cie – centri di identificazione e di espulsione – sono disseminati dappertutto, in quei non-luoghi (Marc Augé, ma anche Zygmunt Bauman) ormai onnipresenti destinati alla non-persona (NoWhereMan, come recita una sempre attuale canzone dei Beatles) dove, appunto, manca l’autentico riconoscimento dell’identità e vige l’espulsione-esclusione dell’altro, del diverso, del non-me.
I due pappagalli rappresentano entrambi una condizione di possibile povertà.
Quello muto e brutto, se lasciato nella sua solitudine, nella sua conclamata “disabilità”, rischia di restare nell’assoluta dimenticanza. Nessuno sa coglierne il valore. Quello bellissimo e bravissimo a cantare resterebbe del tutto senza valore se non potesse utilizzare, umilmente, il segreto e la suggestione della musica che il compositore muto gli regala: il suo valore sarebbe certamente assai misero se non fosse in relazione con l’altro, se non fosse grato per il regalo ricevuto, se si lasciasse abbagliare dall’autosufficienza, dalla presunzione delle apparenze esterne, dalla facile attribuzione di grandezza. Saggiamente Seneca diceva: «Alcuni sono giudicati grandi perché si misura anche il piedistallo».
L’aneddoto ci insegna che soltanto “insieme” possiamo creare qualcosa di nuovo
Solo per questa via possiamo uscire dallo sconcerto delle solitudini per essere, soltanto insieme, autentico concerto (sapendoci includere in questa comune cassa di risonanza che è l’autentica socialità). Perfino il recente Festival di Sanremo, tra tante canzonette mediocri, ha regalato un breve bellissimo concerto. Ezio Bosso, il compositore-pianista malato di Sla, ha suonato il suo Following a bird (proprio “inseguendo un uccellino”) e ha provocato in tutti una fortissima emozione. Ha manifestato il suo “capitale invisibile”, fatto di arte e di sofferenza, di difficoltà e di gioia, e ha finito con queste bellissime parole: «La musica come la vita si fa solo insieme».
La vera ragione della crisi non è economica
Noi sappiamo bene che la “crisi” di cui tanto si parla oggi, prima ancora che legata a problemi-questioni di carattere economico, è figlia di un occultamento dell’umanità. La povertà per eccellenza, che è sintesi di tante nuove povertà, sta nei silenzi e nel mutismo imposto al quale tante persone sono ridotte, in tante forme di esclusione, nello sconcerto dell’invisibilità che è autentica sottrazione di risorse umane. Ma la notte nasconde l’alba, che verrà. Il silenzio nasconde il concerto, dobbiamo soltanto aprirci all’autentico ascolto.