Questo Giusto ora ha un volto

L'impiegata padovana, che ospitava nella sua casa in ghetto vari perseguitati per motivi razziali in attesa di trovare salvezza in Svizzera o via mare, fu arrestata nel febbraio 1944, imprigionata a Venezia e Trieste, deportata a Ravensbrück dove morì nel corso della tragica "marcia della morte" verso Bergen-Belsen.

Ritrovata la foto di Maria Lazzari, Giusto tra le nazioni: ecco il suo volto

Fino a oggi non si sapeva nemmeno che volto avesse: quando il 13 ottobre scorso il comune inserì il nome di Maria Lazzari nell’elenco dei Giusti del mondo di Padova, piantando un albero ed erigendo una stele nel giardino di Noventana, la scheda storica pubblicata per l’occasione era priva della foto. Sul suo conto si è sempre saputo poco, fatta salva qualche succinta menzione nei libri che parlano della resistenza al femminile nel Padovano. Le ricerche anagrafiche sulla sua famiglia, sulle tre sorelle (Amelia, Parisina, Omerina) e sull’unica figlia (Giuliana) avuta dal marito Giulio Pinori, erano sempre finite in un vicolo cieco.

Nata a Padova il 24 agosto 1903 e residente con la famiglia in via Marsala 12, Maria Lazzari lavorava come segretaria dell’avvocato Umberto Merlin, antifascista ed ex deputato. Dopo l’armistizio dell’8 settembre tutta la famiglia Lazzari, da sempre antifascista, partecipò attivamente alla lotta di liberazione, occupandosi della raccolta di armi e rifornimenti per i partigiani. La loro abitazione, all’interno del ghetto, divenne rifugio per molti perseguitati razziali in attesa di trovare la salvezza espatriando in Svizzera o via mare a Chioggia. Un po’ come fecero le sorelle Martini e Borgato, padre Placido Cortese, Milena Zambon e tanti altri, aiutando la fuga di chi era braccato.

In casa Lazzari si nascosero per un certo tempo, tra gli altri, la famiglia Levi Minzi: Clotilde, di 78 anni e il figlio Marcello. Quest’ultimo, arrestato in una retata nel febbraio 1944, fu deportato a Vo Euganeo e poi ad Auschwitz, dove morì. Schedata all’ufficio politico della questura già alla fine del 1943, nella primavera del ’44 Maria fu arrestata e interrogata al comando delle Ss di via Diaz. Rinchiusa nel carcere giudiziario dei Paolotti, tornò in libertà dopo una settimana. Il 16 settembre fu catturata con la sorella Parisina, perché un delatore aveva riferito che offriva asilo a un ebreo. Trattenute e subito rilasciate, le sorelle furono nuovamente arrestate pochi giorni dopo: Parisina fu inviata al lager di Bolzano, mentre Maria fu tradotta inizialmente nel penitenziario veneziano di Santa Maria Maggiore e poi a Trieste, nelle carceri del Coroneo.

Di questo periodo il nipote Scattolin scrive: «All’epoca avevo sei anni, mi ricordo poco della tremenda vicenda di mia zia; mi vengono alla mente comunque brevi sprazzi di memoria soprattutto quando mia madre andava al Coroneo e portava da mangiare alla sorella con un gavettino di metallo sul fondo del quale la zia scriveva con un carboncino (credo) quello che le serviva in prigione o quando piangeva parlando con le altre sorelle». Il 10 gennaio 1945 Maria fu deportata nel lager femminile di Ravensbrück, 80 chilometri a nord di Berlino, dove rimase fino alla seconda metà di aprile. Durante questo viaggio Maria riuscì a gettare fuori dal carro bestiame che la portava in Germania una lettera alla sorella Parisina (anche lei ricordata nel Giardino dei Giusti), poi recapitata alla famiglia. Quando i sovietici erano ormai vicini a Berlino, Maria fu costretta ad affrontare la terribile marcia della morte verso Bergen-Belsen. Morì lungo il tragitto per gli stenti patiti.

Nel dopoguerra le è stata riconosciuta la militanza alla memoria nella brigata Garibaldi Franco Sabatucci, con il grado di capitano e dirigente del servizio di assistenza sanitaria.

Quella pubblicata su questa pagina è la prima foto disponibile di Maria Lazzari, gentilmente concessa da Patrizio Zanella che l’ha avuta dal nipote Luigi Scattolin, che vive a Trieste. Patrizio Zanella sta curando, insieme a Mariarosa Davi dell’Istituto veneto per la storia della resistenza e dell’età contemporanea, una ricerca che dovrebbe arrivare a tracciare il profilo biografico della martire padovana. Il comune di Padova l’ha inserita nell’elenco del Giardino dei Giusti del mondo a Noventana. Presto le sarà dedicata anche una via cittadina. A Dolo, l’istituto tecnico statale che porta il suo nome il 27 gennaio, Giorno della memoria, ha scoperto un quadro con il suo volto per farla conoscere a docenti e studenti.