A un mese dalla scomparsa, la Difesa ricorda Paolo Tieto
Impossibile ricordare tutti i volumi pubblicati da Paolo Tieto (nella foto, a sinistra), insegnante, saggista e collaboratore della Difesa scomparso a 85 anni lo scorso 21 agosto. Tra le sue opere spicca quella dedicata ai casoni veneti, edifici rurali della tradizione che Tieto ha contribuito a salvare.
«Come “praticanti della penna” – mi diceva sempre – abbiamo una grande responsabilità, perché la parola scritta resta, gli errori si espandono come macchie d’olio e sono più tenaci delle verità». Paolo Tieto, il collega giornalista, che era anche e soprattutto professore, storico dell’arte e delle tradizioni, è scomparso nella sua Piove all’età di 85 anni un mese fa, il 21 agosto. Ma basta scorrere con lo sguardo la libreria, per vederlo ancora vivo, nei suoi tanti libri di storia, d’arte, di cultura locale, che di “locale”, nella sua accezione riduttiva, non avevano nulla se non la passione per i particolari documentati, per una memoria che non aveva gerarchie precostituite, anche se sapeva ben giudicare il valore delle persone e delle loro opere. Una passione puntigliosa, senza mai diventare arrogante, per la precisione, fin nelle virgole, ma soprattutto nei fatti. Fatti che Tieto non si accontentava di “copiare” da altri scritti, come spesso la fretta costringe a fare, ma andava a scovare, a verificare e spesso a inquadrare lungo filoni inediti d’attenzione.
Memorabile a questo proposito resta il volume, più volte ristampato da Panda, sui casoni veneti, argomento che era stato sviscerato dall’autore in occasione della sua tesi di perfezionamento in storia dell’arte all’università di Firenze. Tieto ha descritto analiticamente le fonti letterarie e artistiche, ma anche la tecnica costruttiva, l’arredamento, la diffusione, la vita che si conduceva in queste povere abitazioni rurali che è giusto oggi conservare e tutelare, nei pochi esemplari rimasti. Accanto ai casoni, Tieto si occupò in quel periodo anche delle dimora dei patrizi, quelle ville della Riviera del Brenta magnificamente ritratte nelle incisioni di Giovanni Francesco Costa e che egli andò a cogliere nella realtà attuale, non sempre rispettosa della loro bellezza.
Ma è davvero impossibile ricordare tutti i volumi da lui scritti, da quelli dedicati alle chiese, non solo della Saccisica (il santuario delle Grazie, il duomo di Piove, la parrocchiale di Codevigo, l’arcipretale di San Giorgio delle Pertiche) a quelli che si soffermano su edifici e opere d’arte del passato (per tutti il magnifico volume sulla chiesetta piovese di San Nicolò e i suoi affreschi di scuola giottesca). Dai ritratti dei tanti personaggi più o meno famosi della sua terra (Diego Valeri, Andrea Brigenti, Oreste Dal Molin, Stefano Baschierato, Giuseppe Siccardi, l’arciprete Enrico Migliorin, Paolo Murer, Luciano Schiavon...) ai saggi sulle tradizioni popolari, tra cui spicca Memorie. Aspetti di civiltà del sud-est padovano edito a cura del consorzio pro loco Padova sud-est, che rappresenta un vasto e completo ritratto del territorio attraverso i piccoli fatti e oggetti di tutti i giorni, dai capitelli alle immaginette sacre, dal bucato ai nomi delle persone.
A questo proposito, all’attenta curiosità con cui sapeva ragionare delle variazioni del costume basandosi su particolari originali, ricordo uno degli articoli scritti per la Difesa – è stato un nostro assiduo collaboratore, soprattutto accanto al direttore suo conterraneo, mons. Alfredo Contran – in cui prendeva in esame i nomi di battesimo recenti dell’anagrafe di Codevigo, paese in cui ha svolto buona parte della sua professione di insegnante di scuola media, dopo essere stato maestro elementare a Civé e prima di approdare a Piove. Elencando molte stranezze, che attingevano dalla moda, dalla geografia, dai media, finisce ipotizzando un vasto ingresso della terminologia “spaziale”, in armonia con la nuova era.
Un altro suo pallino erano i nomi delle strade, su cui valutava la percezione che un paese aveva della sua storia, dimenticando personaggi importanti e portandone alla ribalta altri invece di insignificanti. Sapeva comunque raccontare con piacevolezza la sua erudizione. Un esempio lo trovo in un altro articolo della Difesa, uscito nel 1968, in cui parlando dell’altare maggiore di Antonio Bonazza di Anguillara ricorda come in paese fosse diffusa la memoria, assolutamente smentita dai fatti, secondo cui sarebbe stato acquistato da un oratorio demolito di Venezia e sostituito all’ultimo con quello scelto da Borgoforte, che era più bello.
Ma prima di concludere questo certo parziale ricordo di Paolo Tieto vanno ricordati altri due aspetti della sua lunga attività di promotore della cultura. Il primo è quello di animazione di iniziative e manifestazioni, tra cui vanno ricordati almeno il costante affiancamento al Centro d’arte e cultura e il premio “La mastea d’oro”, da lui seguito accanto a Luciano Favorido nelle ultime sei edizioni, raccogliendo il testimone lasciato da Luigi Montobbio nel 2000. In questa sua disponibilità ad affiancare ogni iniziativa era soprattutto – come ricorda Favorido – una persona umile, che sapeva giudicare ma senza far pesare i suoi giudizi, che sapeva valorizzare anche gli artisti “minori” cogliendone il valore.
L’ultimo aspetto di Tieto che occorre menzionare è quello della sua fede, sempre testimoniata pur senza tanti sbandieramenti. Una fede che compare nelle sue opere più specificamente religiose, come gli scritti di san Leopoldo, ma che si avverte in trasparenza anche in molti saggi d’arte e iconografia. Mi è particolarmente caro quello da lui dedicato alla Madre di Dio, che esplora nelle tante belle immagini mariane presenti a Piove, descritte da Tieto con delicatezza filiale. Fu l’occasione che mi portò a chiedergli l’introduzione a una pubblicazione mariana della Difesa, che lui scrisse, rigorosamente a macchina (che io sappia il computer non è mai entrato nelle sue grazie) con la consueta puntualità ed eleganza. La sua fede si manifestava anche nella sobrietà e nella semplicità, senza vanagloria, con cui è vissuto, nella disponibilità che lo portava a non negarsi a nessuno e a rispettare con creativo rigore e spirito di servizio le “consegne” che la circostanza esigeva da lui.