Un anno fa, il 18 ottobre, il vescovo Claudio entrava in diocesi a Padova
Un anno fa, il 18 ottobre, la diocesi accoglieva il suo nuovo pastore che festeggerà questo primo anniversario in missione. Fino al 24 ottobre, infatti, il vescovo Claudio Cipolla sarà in Thailandia. Il “suo” vicario generale, mons. Paolo Doni, guarda a questo anno vissuto insieme (anche nella stessa casa, che si sta allargando) e individua alcuni punti fermi del “nostro” don Claudio.
Festeggerà in missione, il vescovo Claudio, il suo primo anniversario da pastore della chiesa di Padova. Dal 13 al 24 ottobre, infatti, sarà in Thailandia. Martedì 18, in particolare, proprio a un anno dal suo ingresso in diocesi, celebrerà l’eucaristia e farà festa in onore di san Luca nel villaggio di Ban Mai Pattana.
«È emblematico che il suo anniversario d’ingresso “cada” proprio durante la visita alla missione triveneta in Thailandia – sottolinea mons. Paolo Doni, vicario generale – Don Claudio sta percependo che l’esperienza missionaria della nostra diocesi è lunga, ricca... ma anche problematica. Perché in questi cinquant’anni, circa, le cose sono veramente cambiate. Prima di tutto nella realtà sociale, politica ed ecclesiale delle comunità in cui come diocesi ci siamo spesi. È cambiata anche la comprensione, a Padova, del senso dell’essere in missione. Il vescovo Claudio, quindi, ha il desiderio di conoscere la nostra dimensione missionaria e comprenderla, prima di prendere qualsiasi orientamento futuro. La nostra diocesi, infatti, è arrivata al punto in cui deve rivedere la propria esperienza missionaria. Di fronte al mutamento della realtà non si tratta più di guardare a passato e presente, ma a presente e futuro. Il vescovo Claudio spera di poter fare scelte condivise, ma profetiche».
Don Paolo, in questo anno hai cominciato a conoscere il vescovo Claudio. Quali sono i suoi punti fermi?
«La prima sensazione è stata, fin da subito, di una profonda sintonia. Non solo personale, ma con il cammino che la diocesi in questi anni ha compiuto. Al cui interno, certo, il vescovo Claudio fa delle sottolineature che sono sue. La prima è l’attenzione alle parrocchie intese come comunità cristiane. A lui piace chiamarle così! Il vescovo Claudio ci richiama in continuazione a questo».
Oggi si percepisce l’urgenza di un ritorno alla consapevolezza di essere comunità cristiane. Dove “comunità” significa relazioni tra persone, e “cristiana” vuol dire che fa riferimento a Gesù Cristo, quindi punta sulla fede. È centrale, quindi, concentrare l’attenzione sulla fede. Una fede che è personale e comunitaria ma, anche, missionaria. Fede intesa non come pratica religiosa e neanche come somma di iniziative, ma come incontro personale con Gesù Cristo.
Altri “tratti” del suo primo anno a Padova?
«L’attenzione a tipologie diverse di credenti: i preti, i giovani, le persone che abitano il territorio. Sono le “dimensioni” della vita della comunità cristiana a cui ha dedicato più tempo. A noi preti don Claudio ha chiesto di non fare i gestori della parrocchia, delle strutture e delle iniziative, ma prima di tutto di essere fratelli che accompagnano e si fanno carico di altri fratelli e sorelle nel cammino dell’incontro con Gesù Cristo, cioè nella fede. E lo stesso criterio, mi pare di capire, è quello che segue nella sua attenzione ai giovani. Per i quali ha voluto un sinodo! Che non si propone di organizzare iniziative per loro, ma far sì che trovino nella comunità cristiana la propria casa e insieme ad altri fratelli scoprano, o scelgano, il proprio percorso di vita».
Hai accennato alle persone che abitano il territorio...
«Per il vescovo Claudio è importante che la chiesa si ponga sempre in maniera corretta di fronte alle questioni del territorio: penso a profughi, poveri, cucine popolari... ma anche a molto altro che fa parte del quotidiano. Porsi in maniera corretta, per la comunità cristiana, non vuol dire erogare servizi religiosi, ma, partendo dalla fede, rispondere alle diverse espressioni della vita e alle diverse situazioni che toccano le persone. Non solo quelle che frequentano la chiesa! Significa interessarsi, occuparsi, preoccuparsi, essere presenti... in maniera generosa».
Voi abitate insieme e non siete soli.
«Ho abitato anche con il vescovo Antonio. La cosa mi è piaciuta e ho ritenuto importante continuare. Quest’anno don Claudio ha ulteriormente allargato la presenza, pensando che la casa del vescovo sia emblematica, sia un punto di riferimento. Ma non per apparire, ma perché crediamo alla bellezza del condividere le cose quotidiane... È un bel tocco di ferialità! È suo desiderio che la casa del vescovo possa aprirsi a chi bussa e, ad esempio, viene a pranzo. Ora siamo in cinque, fissi: il vescovo, io, don Matteo Naletto, don Leopoldo Voltan e don Paolo Zaramella. Oltre alle suore, Valeria e Sorina, e altri che passano... Diciamo che la tavola da pranzo è diventata piccola!».
Un augurio per il primo anniversario del vescovo Claudio.
«Lo rintraccio nei ricordi dell’estate scorsa, quando come consiglio episcopale abbiamo vissuto a Borca di Cadore il nostro “ritiro di Coverciano”. Insieme a don Claudio siamo saliti sull’Averau e Nuvolau. È stato bello camminare insieme, fare fatica... vivere una situazione in cui non ci sono più ruoli, ma persone. Arrivati su, ci siamo trovati di fronte a un panorama fantastico... Che, ripensandoci ora, mi ricorda l’immagine scelta per l’anno pastorale appena iniziato: Mosè, arrivato di fronte alla Terra Promessa, si ritrova davanti un orizzonte infinito. Auguro al vescovo Claudio tante “camminate” in questa nostra chiesa. Godendo della compagnia, faticando insieme, gustando la bellezza. Guardando al futuro con speranza e fiducia. Sempre con la voglia di ripartire».