Tre vie per la chiesa nei confronti della famiglia: «Accompagnare, discernere e integrare»
La pastorale matrimoniale e familiare non è la pastorale delle eccezioni. Potrebbe essere sintetizzato in questo slogan uno dei messaggi principali – forse il più atteso – dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, sull’amore nella famiglia di papa Francesco. E conviene partire proprio da qui nell’accostarsi alla lettura del testo per stemperare entusiasmi o fughe in avanti e mitigare lamenti e critiche per ciò che non è stato e poteva essere. Il perché? Lo si legge in maniera chiara al numero 307 del documento: «Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture».
Si sa che l’incipit dei principali documenti papali indica generalmente l’intenzione principale del testo, il suo cuore, il punto dominante. Così è per Amoris laetitia:
«La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della chiesa»,
si legge al numero 1. Non si sta parlando di astrazioni o proiezioni ideali, ma della bellezza della vita matrimoniale e familiare, nonostante tutte le sfide che questa comporta. Il testo, dunque, sorprende per la sua concretezza: basta leggere i numeri 32-57 per rendersene conto, oppure i capitoli quarto, quinto e sesto.
Ancora una volta papa Francesco, con il cuore del pastore, entra nelle realtà quotidiane della vita familiare in maniera semplice, ma profonda e, a tratti, poetica e romantica. Come, ad esempio, al numero 163 quando parla della «trasformazione dell’amore» e della «necessità di ritornare a scegliersi a più riprese». Un documento concreto e, pure, denso, variegato, multiforme, che colpisce per la sua ampiezza e articolazione.
«A causa della ricchezza dei due anni di riflessioni che ha apportato il cammino sinodale – spiega Francesco al numero 7 – l’esortazione affronta, con stili diversi, molti e svariati temi. Perciò non consiglio una lettura generale affrettata. Potrà essere meglio valorizzata, sia dalle famiglie sia dagli operatori di pastorale familiare, se la approfondiranno pazientemente una parte dopo l’altra, o se vi cercheranno quello di cui avranno bisogno in ogni circostanza concreta».
Nelle parole del papa ritornano due accenti forti: lo sguardo secondo la spiritualità ignaziana (ovvero l’attenzione al “prendersi cura”) e la pastorale attenta alla concretezza della vita familiare. Ma non solo. Amoris laetitia porta iscritto, in modo indelebile e a chiare lettere, il cammino sinodale, compiuto nel 2014 e nel 2015, con due assemblee dedicate allo stesso tema: la famiglia, appunto.
Senza rischio di essere smentiti, si può allora affermare che davvero Amoris laetitia è un’esortazione post-sinodale nel senso autentico del termine. È espressione del «camminare insieme» – laici, pastori, vescovo di Roma – generatore di quel «dinamismo di comunione» che dovrebbe stare alla base di tutte le decisioni ecclesiali.
E qui non siamo alla teoria, ma alla realtà originaria e profonda della chiesa (mistero di comunione) che deve manifestarsi in ogni comunità ecclesiale e deve funzionare come norma di vita. La sinodalità e la collegialità emergono pure dal cosiddetto apparato critico, ossia dalle “note” del testo. Importanti i riferimenti a Tommaso d’Aquino e a Ignazio di Loyola. Colpiscono le citazioni “ecumeniche”, come Martin Luther King e Dietrich Bonhoeffer, e quelle di personalità significative, tra cui lo psicanalista Erich Fromm, i poeti Jorge Luis Borges e Octavio Paz, i filosofi Antonin Sertillanges e Josef Pieper.
Particolare la citazione del film Il pranzo di Babette, utilizzata per spiegare il concetto di gratuità. E, come già avvenuto per altri testi di Francesco, ci sono i contributi di diverse Conferenze episcopali del mondo: Spagna, Corea, Argentina, Messico, Colombia, Cile, Australia, Italia, Kenya, Consiglio episcopale latinoamericano. È il respiro della cattolicità che, assimilata la lezione del concilio Vaticano II, si apre sempre più alla sua dimensione reale, ovvero planetaria.
Le conseguenze, a livello ecclesiologico, sono rilevanti e impegnative. E Francesco lo sa bene. Per questo, al numero 3, «ricordando che il tempo è superiore allo spazio», ribadisce che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo. Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali».
Più avanti, al numero 300, chiarisce: «È comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal sinodo o da questa esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi». Anche perché
«è meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale…». Insomma, la sfida principale per le comunità ecclesiali è racchiusa in quei tre verbi che danno il titolo al capitolo ottavo: «Accompagnare, discernere e integrare».
Tre atteggiamenti di fondo che si completano e si richiamano a vicenda, modificando l’orientamento verso le “fragilità”: «I pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del vangelo e la dottrina della chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti» (numero 308). È «la logica della misericordia pastorale», la sola in grado di dare risposta al desiderio di salvezza che c’è nel cuore di ognuno, di ogni famiglia.