Padre Poiana, nel trigesimo la testimonianza di chi ha vissuto 11 anni con lui
Padre Giorgio Laggioni ha compiuto insieme a luiil cammino di formazione alla vita religiosa e l’ha reincontrato 11 anni fa, condividendo con lui l’impegno di animare la comunità dei frati e la grande basilica
La prima parola nel ricordo di padre Enzo Poiana, il rettore della basilica del Santo prematuramente scomparso un mese fa, ad appena 57 anni, spetta sicuramente a padre Giorgio Laggioni, non solo perché è il frate che come vicario della comunità e vicerettore della basilica ha assunto, fino alla prossima nomina del nuovo rettore, i compiti del defunto, ma perché, dopo aver condiviso con lui gli anni della formazione religiosa, ha vissuto e operato a stretto contatto con lui.
«Nel 2005 – esordisce – ero già a Padova da otto anni come segretario della provincia dei frati quando padre Enzo fu nominato rettore della basilica e guardiano della comunità; fu lui a chiedere che restassi a Padova al suo fianco. Ci eravamo conosciuti quando siamo entrati insieme nel postulato di Treviso. Abbiamo compiuto assieme il noviziato, la professione temporanea, quasi tutta la teologia. Poi io sono andato a Rovereto, lui un anno dopo nella parrocchia di San Marco e quindi è stato nominato parroco a San Francesco di Trieste. Questi ultimi 11 anni li abbiamo trascorsi vicini, uniti dallo stesso carisma di animare la comunità dei frati e la basilica del Santo stando vicino a sant’Antonio».
Quali sono stati i momenti che le sono rimasti più impressi di questi 11 anni?
«Abbiamo vissuto dei momenti molto forti insieme, come il restauro della cappella dell’Arca, che ha comportato il trasferimento del corpo nella cappella di san Giacomo, e poi la settimana di ostensione al termine dei lavori, con la massa di pellegrini che si è riversata al Santo. Altro momento intenso è venuto nel 750° anniversario del ritrovamento della lingua incorrotta, con tante celebrazioni coronate dalla presenza del patriarca di Lisbona. E poi i pellegrinaggi delle reliquie in varie parti del mondo con padre Enzo, a testimoniare l’entusiasmo dei devoti e l’accoglienza festosa e calorosa riservata al santo e ai suoi frati».
Come uomo e frate padre Enzo com’era?
«Era una persona espansiva, cordiale, che ha saputo conquistarsi tanta simpatia, come si è visto ai funerali, da parte di tante persone, dalle autorità fino alle persone più semplici, i poveri. Ricordo con ammirazione quanto faceva in maniera discreta e personale, oltre ai canali istituzionali, per soddisfare le molteplici richieste di aiuto che giungono al Santo. Quello che l’ha caratterizzato di più è lo spirito di accoglienza caldo, premuroso nei confronti delle persone, dei giovani. Ci teneva a far conoscere loro gli aspetti della vita fraterna francescana da cui era stato conquistato, inaspettatamente, lui che era stato mandato in postulato a Treviso solo per completare gli studi e poi tornare al seminario di Gorizia. Aveva doti innate di socialità e l’ha dimostrato nella “regia” della vita fraterna della comunità del Santo, ampia e quindi complessa».
Padre Enzo sosteneva che, vivendo vicino alla tomba di Antonio, era stato sempre più conquistato dalla sua figura luminosa, dalla devozione dei pellegrini e dai segni che si manifestavano.
«Stare vicino a sant’Antonio è sempre sorprendente per il seguito che continua ad avere, ma anche per i segno “prodigiosi” con cui fa sentire la sua intercessione. È stato padre Enzo a organizzare alla messa solenne delle 11 del 1° febbraio, giornata della vita, la benedizione delle coppie che hanno difficoltà nell’avere un figlio e delle mamme in attesa. Si sono verificati casi concreti di coppie che, dopo essersi affidate a sant’Antonio, sono tornate per ringraziare del dono ricevuto. Come rettore padre Enzo ha curato molto l’aspetto liturgico, le celebrazioni, anche quelle feriali. Raccomandava sempre ai frati di offrire un’omelia ben preparata, con uno stile di decoro e di attenzione alle persone singole, nonostante la grande affluenza».