Metti una sera a cena nella canonica di Campodarsego. Quando Pasqua è mettersi alla tavola del Risorto
Cibo e vita gustati insieme. Per “celebrare” la Pasqua, quest’anno abbiamo invitato a cena un gruppo di persone: per condividere il cibo, prima di tutto, ma in particolare per raccontare la propria esperienza dello “stare a tavola”. I frutti (ricchissimi!) di questa serata, che ha avuto luogo venerdì 18 marzo, sono raccontati nelle pagine della Difesa in edicola e in parrocchia.
Qui ve ne offriamo un "assaggio".
Metti una sera a cena nella canonica di Campodarsego. Metti che – invitato dalla Difesa – un gruppo di persone si ritrovi a mangiare insieme, ma anche a condividere la propria esperienza del “mettersi a tavola”. Metti che tutto questo avvenga con la settimana santa sullo sfondo. Con quel cibo, Gesù Cristo, che si offre completamente – corpo e sangue, pane e vino – per la “tavola” della nostra vita.
A Campodarsego, venerdì 18 marzo, si sono ritrovati intorno alla tavola della canonica il parroco don Leopoldo Voltan (quando ancora non sapevamo che il vescovo Claudio lo avrebbe nominato vicario episcopale per la pastorale, come successore di don Renato Marangoni), il vicario parrocchiale don Nicolò Rocelli, Enrico Milan (arrivato a Campodarsego, dal Due Palazzi, ad agosto scorso per motivi di salute), Carla e Cesare Galtarossa (sposati dal 1980 con due figli), Emmanuel Lamdjao Fensang (24 anni, del Camerun) e Pietro Cecchin (per gli amici Piero, sposato con due figlie e impegnato nel coordinamento dei pranzi domenicali per i poveri).
Cosa rappresenta la Tavola?
Don Leopoldo «L’arrivo di Enrico ha cambiato, qui in canonica, il nostro modo di essere. Per me prima il pasto era, purtroppo, quasi un’esigenza da soddisfare. Con il suo arrivo si è aperta questa possibilità di trovarsi di più a tavola. Ricordo che il giorno in cui è arrivato qui, il 27 agosto 2015, gli abbiamo chiesto: cosa mangeresti volentieri?».
Enrico «Ho risposto: la pizza. Erano dieci anni, quelli che ho trascorso in carcere, che non la mangiavo...».
Don Nicolò «Apprezzo molto la possibilità di fare un po’ di tavola. Penso che questa cosa mi sarebbe mancata tanto. Per me il pasto è sempre stato una cosa importante: prima in famiglia e poi in seminario. È il momento per ritrovare la comunità, con le sue gioie e le sue fatiche».
Don Leopoldo «Siamo passati dal fast food, dal mangiare in fretta, in piedi… al metterci a tavola. Anche perché Enrico si occupa della cucina. Ogni tanto ci chiede: cosa mangereste volentieri? Per noi è una domanda inaudita».
(la famiglia che abita nella canonica di Campodarsego ha rotto il ghiaccio. Tocca agli altri)
Carla «Ci piace molto mangiare, a me piace abbastanza cucinare, ma soprattutto ci piace stare a tavola. Per noi il tavolo è il centro della casa, è il “luogo” in cui stare tutti insieme. Alla pari! Abbiamo anche voluto, per la nostra cucina, proprio un certo tavolo».
Cesare «Nella casa dove andiamo in vacanza da quasi 27 anni, in Austria, c’è un particolare tavolo... e abbiamo voluto ricostruirlo nella nostra casa di Padova. Perché intorno a quel tavolo abbiamo vissuto le diverse fasi della nostra vita. Momenti forti, belli… qualcuno di impegnativo. Intorno a quel tavolo, uno dei miei figli mi ha provocato a tenere duro durante una malattia. Mi ha aiutato a recuperare la fiducia in me stesso e a combattere».
Carla «Su quel tavolo Daniele e Stefania, lui è il nostro figlio maggiore, ci hanno detto: vorremmo sposarci. Erano titubanti, dato che la loro situazione lavorativa era in divenire, ma è stato bello».
(l’atmosfera è di grande intensità e intimità, ma anche gioiosa. Don Nicolò ci saluta, perché ha un impegno parrocchiale che chiede la sua presenza)
Emmanuel «È un piacere stare con voi. È da tanto che non mi succede di stare a tavola così. Penso ai miei genitori e fratelli, quando ero ancora con loro. Sono sette anni che non li vedo... Pensando a tutto quello che mi è successo, da quando ho lasciato il Camerun, trovarmi a tavola con voi... mi emoziona. Ho lasciato il mio paese per una serie di problemi. Dalla Tunisia ho ricevuto un invito per giocare a calcio. Lì le cose non hanno funzionato, così sono andato in Libia. C’era la guerra, morivano molte persone. Una notte mi hanno preso, insieme ad altri, e mi hanno caricato su una barca. Tre giorni senza cibo e acqua... Sono arrivato a Lampedusa, poi a Padova. In tutta questa vicenda, e anche ora, risento le parole dei miei genitori: se sei in difficoltà, solo Dio può salvarti. Devi pregare, le cose cambieranno».
Piero «Dove sono cresciuto, al Portello (all’ombra del campanile dell’Immacolata), ho imparato una cosa: è importante darsi una mossa. Lo faccio su tanti fronti, anche quello della tavola. Nella mia parrocchia attuale, San Camillo, sono presidente della sagra e capocuoco alle griglie... (ride e contagia gli altri). E poi sono nel coordinamento dei pranzi domenicali, esperienza nata come aiuto alle cucine popolari nei giorni cui sono chiuse. Da vent’anni, un gruppo di parrocchie offre ogni domenica circa 250 pasti alle persone che sono in difficoltà. Il pasto, come ci dice sempre il direttore della Caritas don Luca Facco, diventa occasione di accoglienza. Non è solo prendere una persona e riempirgli il piatto, ma sedersi accanto a lui e, se ha voglia di comunicare, esserci. Farlo sentire parte di una comunità. Il bello è che questi pranzi avvengono di domenica. E quello della domenica è il pranzo della festa...».