Imam Layachi: Trasmettiamo ai giovani il valore della diversità»
L’imam delle comunità islamiche del Veneto (nella foto assieme al parroco del Santo di Thiene, don Massimo Toniolo) ne è certo: «Guai se le religioni diventano un fatto privato. Sono il grembo a cui attingiamo i valori». Promuove i simboli cristiani del Natale a scuola, e auspica la presenza anche di segni di altre religioni: «Abbiamo bisogno di nuovi modelli di integrazione».
«Le religioni sono il vero collante della società. Rappresentano il grembo di valori da cui attingere costantemente. Per questo, da mussulmano e da imam, credo che le religioni, con i loro simboli e le loro festività, debbano essere sempre presenti nello spazio pubblico. Guai se diventano un fatto meramente privato».
Non lascia spazio a dubbi, la riflessione di Kamel Layachi, imam delle comunità islamiche del Veneto e responsabile del dipartimento di dialogo interreligioso del Consiglio delle relazioni islamiche italiane. «Più le religioni saranno presenti e più saranno in grado di accompagnare le coscienze e le fragilità, andando alle periferie geografiche ed esistenziali – come piace dire a papa Francesco – a curare le ferite degli uomini. Tutte le religioni, e in primis naturalmente la religione cattolica che in questo paese e in questo continente ha una storia millenaria».
Il vescovo Claudio nelle scorse settimane ha parlato delle tradizioni natalizie come «germi di dialogo» tra religioni e in particolare con l’islam.
«Quando ho letto le sue parole mi sono reso conto subito che si trattava di un appello alla pace e alla responsabilità, in questo momento non certo facile per la convivenza civile nelle società in Europa. Non ho mai pensato, come ha fatto qualcuno, che potesse immaginare di rinunciare a un elemento così importante per il cattolicesimo com’è il presepe, anzi. Le sue parole hanno sottolineato come l’identità religiosa non può mai diventare un’arma contro il prossimo, non può essere esclusione o offesa, tanto più in una fase della storia in cui per i fedeli e i cittadini non sempre è facile fare una lettura d’insieme e la chiarezza è essenziale».
Quale valore riveste per un fedele musulmano la presenza dei simboli cristiani legati al Natale negli edifici pubblici?
«Nessun musulmano può sentirsi a disagio o escluso di fronte al presepe. Lì sono rappresentate due figure centrali per l’islam come Gesù, nominato 33 volte nel corano – ben più del profeta Mohammed, che ricorre cinque volte – e Maria, a cui il testo dedica un capitolo intero. Sicuramente nell’islam la loro concezione è diversa, ma fra i nostri precetti c’è quello di credere nei profeti e nei libri che hanno preceduto Mohammed: non si è musulmani autentici se non si crede nella profezia di Gesù e nella verginità di Maria. Ciò che mi infastidisce piuttosto è il consumismo esagerato che si manifesta attorno al Natale: si rischia di trasformare un’occasione per trasmettere valori centrali ai ragazzi in un’esplosione di acquisti. Infine: il messaggio del Natale, il vangelo con il suo comandamento d’amore per il prossimo, valgono tutto l’anno, non solo a fine dicembre. Ognuno di noi deve farsi un bell’esame di coscienza su come segue l’esempio di Gesù e Maria».
Bando dunque a certa politica che tende a strumentalizzare le tradizioni cristiane?
«Non spetta a me giudicare la condotta di qualsiasi politico o cittadino. Da uomo di religione mi interessano piuttosto i fenomeni e le relazioni tra persone e comunità. Per questo mi chiedo: se ci rechiamo in una scuola di Arzignano o di Modena o Milano, dove l’affluenza di bambini musulmani, buddisti o induisti è alta, quale clima si respira? Si sentono tutti uguali, alla pari, oppure no? Mi piacerebbe che il dibattito pubblico si concentrasse su questo, perché nelle scuole oggi stiamo formando i cittadini del domani. Sono il primo a chiedere di valorizzare le feste cristiane, ma perché non trasmettere agli insegnanti anche la sensibilità per le feste di altre religioni? In questo modo, attraverso le ricorrenze di altre religioni, possiamo trasmettere ai bambini la ricchezza della diversità. Non cancelliamo ciò che già c’è, ma aggiungiamo altri simboli che veicolano messaggi importanti. Così possiamo generare modelli di integrazione avanzati, che evitano ciò che sta accadendo a Parigi e Bruxelles a causa delle banlieu o in Gran Bretagna dove la comunità è fortemente divisa e regna l’indifferenza. Al contrario: ogni gruppo deve coltivare la propria identità, ma la comunità deve essere unita e in relazione».
Le tradizioni come segno materiale della fede. C’è qualcosa di simile nell’islam?
«Centrale per noi è l’egira, l’emigrazione di Mohammed dalla Mecca alla Medina e quindi dall’oppressione all’accoglienza. Ebbene, c’è un canto legato a questo evento che tutti i bambini musulmani conoscono e cantano in ogni festa. È un canto di libertà e di salvezza: il profeta e tutti coloro che lo seguivano avevano lasciato tutto per approdare in un luogo in cui vivere con dignità anche la propria fede. Capite quanto sono centrali questi temi oggi?».