Mons. Capovilla, la porpora arriva a 98 anni
Tra i nomi dei futuri cardinali annunciati da papa Francesco all'Angelus di domenica 12 gennaio, c'è anche il suo: mons. Loris Capovilla, nato a Pontelongo nel novembre del 1915, storico segretario di papa Giovanni XXIII e poi vescovo, il 22 febbraio prossimo diventerà principe della chiesa.
Una vita spesa al servizio della chiesa con «umiltà e nascondimento». Oggi il suo pensiero – in perfetta consonanza con papa Francesco – si rivolge a «tutti gli umili preti di città, di campagna e di montagna» e agli ammalti, ai lungo degenti che «accettano dalle mani di Dio con semplicità anche le limitazioni della natura umana».
Tra i nuovi cardinali, annunciati domenica scorsa dal pontefice, c’è anche mons. Loris Francesco Capovilla, già segretario particolare di Giovanni XXIII. L’elevazione alla porpora arriva per lui a 98 anni e nell’anno della canonizzazione di papa Roncalli che sarà proclamato santo il prossimo 27 aprile.
Come ha accolto questa notizia giunta dopo tutti questi anni di servizio alla chiesa?
«Con tanta serenità e in comunione con tutti gli umili preti di città, di campagna e di montagna che umilmente e silenziosamente spendono la vita intera perché il Gaudium evangelii, la gioia di ricevere il vangelo, giunga a tutti e a tutte le famiglie. Sono molto grato. Sono grato a papa Giovanni perché lui mi ha portato anche a questo. E a papa Francesco».
Tanti anni a fianco del papa buono. Che pensiero ha avuto per lui oggi? Quale sacerdozio le ha insegnato?
«Mi ha insegnato il silenzio, il nascondimento, l’umiltà e il servizio dato solo per amore. Mi ha insegnato che il vertice della condotta cristiana – Giovanni Crisostomo direbbe filosofia cristiana – è semplicità e prudenza. Se sei semplice, sei aperto con gli occhi a Dio e non hai paura di nessuno e di niente. Se sei prudente, non fai nulla da solo e ti senti membro non solo della chiesa ma dell’intera famiglia umana. Ed è proprio in questo giorno, con questa notizia nella quale mi avvolgo a tutti gli umili e ai poveri del mondo intero, che io ripeto le parole di papa Giovanni: io sono cittadino del mondo perché tutto il mondo è la mia famiglia nell’unum, nell’unità che vuole Dio e che Gesù ha predicato e ha lasciato come testamento a tutti noi. Stiamo lavorando a questo, tutti. E sono un numero sterminato, gli uomini e le donne di buona volontà che testimoniano di voler essere obbedienti alla chiamata del Signore, in questo momento storico che ci avvolge tutti».
Quale significato ha questo riconoscimento che arriva così tardivo?
«No, perché dire “tardivo”. Non è mica una cosa dovuta. È tutto una grazia, un dono di Dio. Niente è tardivo. Io non penso a queste cose. Ho sempre creduto che il vero servizio comincia con la preghiera, la dedizione e con il silenzio. Si pensi a quanti ammalati ci sono, a quanti lungodegenti che accettano dalle mani di Dio con semplicità anche le limitazioni della natura umana. Certo, non posso lavorare oggi come un giovanotto. Ma posso pregare, posso amare. Posso testimoniare che per il cristiano c’è una sola legge: l’amore. E per il cattolico non ci sono vari paesi del mondo, popoli o razze. C’è un popolo solo: il popolo di Dio in cammino sulle dure strade del mondo verso l’Eterno».