Il Gesù-uomo di De Andrè al Festival biblico di Padova. Intervista a Brunetto Salvarani
Al Festival biblico di Padova c’è anche De Andrè. Grazie al “teologo pop” Brunetto Salvarani che, accompagnato nell’interpretazione musicale dal padovano Alessandro Modenese, in un itinerario tra biografia e scelte artistiche offre un’interpretazione del cantautore genovese. La Bibbia di De Andrè è infatti l’ultima opera editoriale di Salvarani e verrà presentata sabato 21 maggio alle 18 alla libreria San Paolo Gregoriana.
«Vengo definito studioso della teologia pop e ci sorrido – spiega il teologo – Il mio tentativo è analizzare la cultura popolare, fatta di musica, fumetti, letteratura, attraverso la ricerca delle tracce di sacro che vi compaiono. Il nuovo libro, edito dalla Claudiana, risponde a questo e rientra in una collana che vuole ragionare sulle motivazioni delle assenze della conoscenza della bibbia nell’ambito culturale italiano e in campo educativo e scolastico e tenta di porvi rimedio, affrontandola anche nel suo rapporto con diverse discipline».
Tra le quali, in questo caso, la musica.
«La bibbia in una figura come De André è un punto di riferimento che non si esprime attraverso un’appartenenza ecclesiale o religiosa. Nei suoi brani si possono riconoscere testi biblici, in particolare dei vangeli apocrifi. Pensiamo solo all’album La buona novella del 1970 e al fatto che con quest’opera nel corso dei decenni successivi sia avvenuto un confronto costante da parte dei teologici e degli studiosi».
In che senso?
«De André è uno dei primi interpreti a puntare l’attenzione sull’umanità di Gesù, allargandola a una dimensione ampia e non richiudendola dentro un’appartenenza religiosa o confessionale. Per il cantautore il fatto che un uomo abbia mandato messaggi così forti e in particolare l’invito al perdono, definito come “inumano” al di là delle possibilità di ciascuno, è già per sé straordinario. Pensiamo a Si chiamava Gesù del ’67. In questo De André provoca anche l’esegesi: cinquant’anni fa affrontare la figura di Gesù-uomo non era davvero un fatto scontato».
Cosa rappresenta la bibbia per De André?
«Uno sfondo importante nelle sue riflessioni di artista e uomo. La mia lettura non ha in sé nessun tentativo di ascriverlo ai “credenti anonimi” o ai “cristiani impliciti”, ma vuole cercare le interrogazioni che gli ha posto la lettura dei vangeli apocrifi e canonici, portandolo a una grande ricerca di senso, anche nell’attenzione agli scartati dalla storia e cercando una coerenza etica».
Come parlare della bibbia oggi?
«Innanzitutto avendo chiaro che si tratta di un prodotto intrinsecamente plurale e che se ne può parlare in tanti modi. Il rischio è di cadere in una lettura fondamentalistica e letteralistica. Va quindi posta molta attenzione al fenomeno della divulgazione: c’è un bisogno di analisi e l’esegesi serve, ma c’è anche il bisogno di portare la bibbia dove manca e a tutti».
In che modo?
«Valorizzandola prima nella dimensione intima di essere un racconto, con una lettura a voce alta, e in questo farla percepire come esperienza che travalica le appartenenze. Il card. Martini la definiva “codice della ospitalità”: una delle difficoltà dell’Europa ad aprirsi all’accoglienza e maturare atteggiamenti di apertura credo stia proprio nell’ignoranza del codice biblico. Non ci si deve preoccupare poi di tradurre immediatamente in richiesta di adesione o adeguamento etico: la bibbia ha una sua forza intrinseca che apre sempre a una chiave di lettura. Ma per fare tutto questo bisogna crederci prima e investire!».
E forse qui sta il problema...
«La bibbia non è nel cuore della chiesa italiana. Lo si constata dall’ignoranza crassa e triste, dallo spaesamento sulla conoscenza. Pensiamo all’investimento delle ore di religione, a quello catechistico... Questa carenza la si paga. Dal Vaticano II, con la Dei Verbum, dovrebbe emergere una chiesa che trova nella lettura della bibbia una delle sue ragioni. Ecco perché eventi come il Festival biblico sono preziosi e vanno sfruttati come occasioni per incontrare persone, far fiorire un pensiero, suscitare curiosità per l’approfondimento».