I nostri campi: scuola o anche vacanza? L'esperienza di don Paolo Zaramella a Riccione con l'Acr di Taggì di Sopra
Una settimana al mare con i ragazzi dell’Acr stimola una serie di domande sui tempi “vuoti” delle iniziative estive: davvero sono “inutili”? Una sorprendente “lezione” sotto l’ombrellone assieme a 41 ragazzi e agli animatori, grazie e una nuova formula per la gestione dei tempi e delle attività.
Un camposcuola a Riccione? All’inizio mi sembrava una cosa quasi improponibile.
Abituato da sempre a campiscuola in montagna, il mare era già scartato a priori. Tuttavia, in un’estate per me “anomala”, la prima da prete giovane senza il consueto “tour de force” di grest e campiscuola per le diverse fasce d’età, mi ha attratto l’idea di cimentarmi in un’esperienza del tutto nuova, con una comunità sconosciuta, quella di Taggì di Sopra, da cui sono stato invitato come assistente per il campo Acr dal 24 al 30 luglio. E quindi anche la meta insolita faceva parte del gioco.
L’aspetto che più mi preoccupava, il bagno in mare di 41 bambini e ragazzi dagli 8 ai 13 anni, era egregiamente gestito dagli animatori, capitanati da Mattia Bandiera, giovane presidente dell’Azione cattolica di Taggì di Sopra, animatori che erano particolarmente attenti anche all’operazione “impanatura” dei ragazzi con la crema solare, per evitare le scottature!
Diversamente da altre esperienze precedenti, ho fatto con gioia l’assistente spirituale, guidando i vari momenti di preghiera e le celebrazioni, mentre tante volte in parrocchia da cappellano bisognava seguire un sacco di aspetti pratici, dalla gestione economica della casa alla spesa. E questo è un punto di merito e un segno di maturità per una comunità che sta camminando in un’unità pastorale con Taggì di Sotto, Ronchi e Villafranca, e non può contare sulla presenza fissa di un parroco.
C’è infine un altro aspetto che mi ha fatto molto riflettere. I nostri campiscuola e le guide che utilizziamo spesso sono fin troppo pieni di attività e di riflessioni, mattina e pomeriggio. Gli animatori di Taggì di Sopra, che hanno utilizzato la guida proposta dall’Acr diocesana, In punta di diamante, dedicavano invece alle attività, ai giochi e alle riflessioni l’intera mattinata, mentre il pomeriggio ovviamente era dedicato alla spiaggia e al mare.
Confrontandomi con loro e vivendo l’esperienza, ho imparato che in un camposcuola hanno valore anche i tempi liberi e gli spazi “vuoti” – apparentemente – in cui i ragazzi possono giocare con spensieratezza (senza una riflessione o un significato a posteriori!), a bocce, con il freesby, col pallone o scavando una buca in riva al mare.
La vita dei nostri ragazzi, durante l’anno, è già troppo piena di impegni e orari scanditi, e tante volte anche lo sport non è vissuto come un momento ricreativo ma diventa un’ulteriore fonte di stress e competizione. Di questo campo porto a casa le chiacchierate con i bambini e gli animatori, i riposini sul lettino con le sveglie repentine di qualche scherzo, le passeggiate da e verso la spiaggia.
Mi piaceva vedere come i ragazzi cercassero gli animatori, ci invitassero per una partita di bocce o per scavare una buca, o semplicemente si avvicinavano per fare due chiacchiere, raccontarsi e fare domande. Anche sul perché sono diventato prete.
«Il camposcuola è anche vacanza», mi diceva un’animatrice. Forse quel nome – “camposcuola” – con l’accento su “scuola” me l’aveva fatto dimenticare in questi anni. Non è che nella programmazione dei nostri campiscuola, al mare, in montagna o in chissà quale altro luogo... valga la pena lasciare più spazi “vuoti”?
don Paolo Zaramella
coordinatore del sinodo diocesano dei giovani