Referendum, ultimi dibattiti. Poi al voto
Arrivare al voto consapevoli, con un’idea precisa in mente per chi, il prossimo quattro dicembre, sarà chiamato a esprimere un sì o un no sulla proposta di riforma costituzionale, la terza dopo quella del 2001 e del 2006. Tra questi ci sono anche giovani e ragazzi, molti dei quali entreranno per la prima volta in un seggio elettorale. Per loro, i gruppi Agesci delle sezioni di Padova Collemare e Brenta hanno organizzato, domenica 27 novembre al teatro San Carlo, nel quartiere Arcella, un dibattito per spiegare le ragioni del sì e, in contrapposizione, quelle del no.
A favore della riforma è intervenuto il senatore Roberto Cociancich, del Partito Democratico e storico capo-scout del primo ministro Renzi, e Dario Conti, avvocato ed esponente del Movimento 5 stelle Veneto, a sostegno del no, moderati dal giornalista della Difesa Luca Bortoli.
Un approfondimento per provare a fare chiarezza, entrando nel merito e cercando di distendere un clima divenuto sempre più teso in prossimità del voto.
Diversi gli spunti trattati durante la serata: dal nuovo iter legislativo, alla fine del bicameralismo paritario, passando per l’introduzione dei referendum propositivi e di indirizzo, fino alla modifica del quorum per il referendum abrogativo che sarà ridotto al 50% degli elettori delle ultime elezioni politiche nel caso in cui fossero raccolte 800mila firme.
Un tema particolarmente sentito e dibattuto in Veneto riguarda, poi, il punto della proposta che elimina la potestà legislativa concorrente nel rapporto tra Stato e Regioni.
«Dopo la riforma nel 2001 del Titolo V della Costituzione, il regionalismo ha creato 540 miliardi di debito pubblico – afferma il senatore Cociancich – Sarei disonesto nel dire che è colpa solo delle regioni, ma è anche vero che molte hanno gestito male le loro risorse, con spese tre volte superiori alla loro produzione. Oggi sono solo cinque le regioni che hanno i conti in ordine, pertanto la nostra proposta è di introdurre flessibilità in base al buono o cattivo operato dell’amministrazione regionale. Ampia o ristretta autonomia decisa non da un potere autoritario e centrale, ma collegialmente dai rappresentanti delle regioni stesse all’interno del nuovo Senato».
Dubbioso, invece, Dario Conti: «La riforma del 2001 ha causato talmente tanti problemi che ci sono stati continui ricorsi alla Corte costituzionale per risolvere conflitti di competenza. Questa riforma, però, porterà una ridistribuzione di competenze, tipo il turismo, che tutto sommato potevano rimanere alle regioni. Purtroppo quando le norme non sono scritte bene si creano disastri e disparità: questa modifica, per esempio, non ha toccato le regioni a statuto speciale che sono la vergogna del regionalismo italiano, a discapito delle regioni ordinarie virtuose».
I due relatori hanno discusso anche sulla riforma del Senato, che dovrebbe passare da 315 senatori a 100 di cui 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e cinque senatori, di nomina presidenziale, in carica per sette anni.
Dario Conti evidenzia un indebolimento della democrazia poiché si nega al cittadino la possibilità di eleggere, in maniera diretta, il proprio rappresentante: «Un buon sindaco, anche di una piccola comunità, non è detto che sia un buon senatore: è necessario distinguere le competenze e le abilità nella diversa gestione».
Cociancich, nel sottolineare che al cittadino non verrà tolta la facoltà di scelta, potendo indicare una preferenza su chi tra i consiglieri regionali avrà la veste di senatore, ribatte: «La nuova funzione è quella di rappresentare non i singoli cittadini, ma i territori con interessi collettivi che vanno tutelati e che non vengono ricondotti alla divisione tra orientamenti politici così come accade oggi».
Uno sguardo anche in proiezione in caso di vittoria del no
«Non considero l’uscita dall’euro un’ipotesi remota – è il timore del senatore del Pd – Chi è contrario alla riforma ha nei propri piani politici l’uscita dalla moneta unica. Se dovessero vincere è presumibile che questa prospettiva possa essere rilanciata così come è successo nel Regno Unito dopo la Brexit».
E sull’affermazione di Renzi su un possibile ritiro in caso di sconfitta, Cociancich è laconico: «Rimarrà in politica, ma prevedo le sue dimissioni dal governo».