Lotta alla corruzione: un «carrozzone» che non funziona
Il magistrato Gian Carlo Caselli analizza il fenomeno denunciato in sede europea che vede l'Italia detenere un triste primato: "Ritengo sia bene diffondere i 'Codici etici', purché abbiano finalmente conseguenze concrete in termini di effettiva responsabilità disciplinare e politica e non si riducano ad enunciazioni velleitarie. Ai Codici devono poi affiancarsi altre misure". Le gravi responsabilità della politica
Nella giornata di ieri (3 febbraio), alla diffusione del primo Rapporto dell’Unione europea sulla corruzione, c’è stato in Italia chi ha subito suonato la grancassa dell’Italia Paese più “corrotto” d’Europa coi suoi 60 miliardi stimati di “mazzette” rispetto al totale europeo di 120, un ben triste primato. I siti internet dei principali quotidiani andavano in questa direzione. Qualcun altro, invece, ha dubitato sulle stime diffuse dalla Commissaria Ue agli affari interni, Cecilia Malmström. Tra i “dubbiosi”, c’è Michele Polo, docente di economia politica alla “Bocconi” di Milano, che ha affermato su “lavoce.info” quanto segue: “Il dato di 60 miliardi di euro l’anno nasce da una grossolana stima, figlia di un curioso passaparola: nel 2004 stime mondiali indicano nel 3-4 per cento del Pil il costo della corruzione, percentuale che, applicata al Pil italiano, genera quella cifra. Chi per primo fa questo calcolo abborracciato ottiene la cifra di 60 miliardi di euro. Un numero che poi viene passato di rapporto in rapporto, ogni volta precisando che è una stima approssimativa, ma continuando nella sua fortunata carriera di unico numero disponibile”. Sulla corruzione nel nostro Paese, il Sir ha scelto di approfondire più che gli aspetti economici, di difficile quantificazione, quelli giuridici. E lo ha fatto con l’ex magistrato Gian Carlo Caselli, famoso per il suo impegno come procuratore della Repubblica a Palermo e da ultimo per il suo contrasto alla violenza perpetrata dai No Tav, in qualità di procuratore della Repubblica a Torino.
Dottor Caselli, cosa pensa della cifra dei 60 miliardi di cui ha parlato la commissaria europea Malmström. Ritiene questa cifra attendibile per l’Italia, visto che la stessa Commissione fa riferimento, nel rapporto, a “stime” risalenti al 2011?«Le stime di profitti illeciti sono sempre approssimative. Ma le cifre della corruzione nel nostro Paese sono certamente imponenti. E purtroppo i dati del report Ue non sembra che difettino troppo per eccesso».
L’adozione in Italia nel 2012 della legge anticorruzione viene apprezzata dalla Commissione Ue come un buon passo avanti. Si suggerisce d’introdurre Codici etici e ulteriori strumenti di trasparenza e rendicontazione. Lei cosa c’indicherebbe tra lo strumentario giuridico-tecnico perché gli appalti pubblici in infrastrutture, sanità, acquisti, spese militari e di funzionamento siano più controllabili ed evitino fenomeni corruttivi?«Ritengo sia bene diffondere i ‘Codici etici’, purché abbiano finalmente conseguenze concrete in termini di effettiva responsabilità disciplinare e politica e non si riducano ad enunciazioni velleitarie. Ai Codici devono poi affiancarsi altre misure. L’elenco completo sarebbe quasi interminabile. Tra i punti principali ricordiamo: l’anagrafe dei candidati alle elezioni nazionali e locali; i test di integrità per politici e funzionari; la reintroduzione del reato di falso in bilancio; la previsione di indagini sotto copertura; l’estensione alle indagini sulla corruzione delle norme che favoriscono le collaborazioni; la riforma della prescrizione; la punizione dell’autoriciclaggio».
Sembra di capire che la classe politica, in fondo, sia la prima responsabile di queste carenze che sono sia di tipo legislativo sia semplicemente operativo per applicare le leggi che già ci sono, magari da decenni. Cosa potrebbe suggerire ai nostri politici?«Faccio un esempio molto semplice e calzante proprio circa il rapporto di cui stiamo parlando. In applicazione della legge anticorruzione 6 novembre 2012 n.190 ogni amministrazione pubblica dovrebbe dotarsi di un piano triennale di prevenzione della corruzione: era stabilito il termine del 31 gennaio 2014, ma non sembra che sia stato rispettato. Del resto persino l’A.N.AC (Autorità nazionale anticorruzione) esiste più che altro sulla carta. Ha solo cambiato nome: prima era CIVIT (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche). Come si vede, siamo bravi a creare un bel ‘carrozzone’, salvo poi dimenticarci di farlo funzionare...».
Non si sente un po’ “offeso” come italiano nel sentire una Commissaria europea dire che il nostro Paese da solo assomma il 50% degli importi della corruzione continentale? Lo trova credibile, visto che non sono state fornite cifre e dati di controprova inoppugnabili?«Che la ‘nostra’ corruzione rappresenti la metà del totale europeo sconcerta, soprattutto se il dato viene riferito all’Europa a 27 Stati. Credo per altro che la visibilità del fenomeno in Italia sia fortemente accentuata dalle grandi difficoltà di prevenzione e di contrasto della corruzione che si registrano, anche sul versante delle forze di polizia e della magistratura».