Filippo Zana: "Se molli in bici hai perso"
«I miei con quel loro ristorante-birreria, io lì con la bici di mia sorella, bella gialla, ce l’ho ancora, che mi divertivo. Chi
portava ai miei la carne era un amico di famiglia, lui aveva corso in bici, lui così a dirmi che mi avrebbe portato “a correre”, avevo cinque anni e ho dovuto aspettare di averne sei per cominciare. Un anello attorno allo stadio di calcio, strada asfaltata, ne chiudevano metà. I miei? Subito ok anche se loro sono stati sempre più vicini al calcio, a partire da mio nonno e poi pure mio padre, come dirigenti della società di qui e mia madre che con mia zia andava pure a pulire gli spogliatoi».
Innamoramento
Inizia così il racconto di Filippo Zana, campione italiano di ciclismo: «Ho cominciato così, per scherzo, e poi è scoppiata la passione e tanto hanno voluto dire le gare, l’agonismo. Sì, viene definito come sport di squadra, lo è, ma poi diventa proprio individuale e ho scoperto che diveniva una specie di sfida con me stesso e me ne sono innamorato. Mi considero tutto sommato fortunato, la passione che ho ora come ora è un lavoro e chissà quanti, anche magari dopo la laurea, vanno a fare qualcosa che non gli piace. È il sogno che avevo da bambino e intanto l’ho raggiunto, io lì davanti alla televisione, Giro e Tour: era lì dentro che volevo arrivare».
Sempre il 110 per cento
«Tanto mi hanno aiutato le persone che mi sono state vicine, famiglia e altri ancora, ma se non te ne stai lì con la testa, allenarti oggi per prepararti a dare il 110 per cento in quello di domani e ancora e ancora… Gli amici che escono, la stanchezza, però sai che l’indomani devi essere al 100 per cento per dare il 110... allora li fai anche i sacrifici che in fondo non è che pesino poi tanto, un qualcosa che ti viene naturale, per provare ad avere quella marcia in più per arrivare. È quello che volevo da bambino, sono tanti quelli che lo vorrebbero, poi ti arrivano addosso le cose della vita, c’è da fare questo o quello, però per me il ciclismo è diventato via via negli anni sempre più importante e pure io ci ho creduto sempre di più».
Un altro sogno
«Con la scuola ho finito le superiori, istituto tecnico agrario e devo dire che sia i miei compagni che… metà degli insegnanti me l’hanno data una mano. Via per le corse, via con la Nazionale, di giorni ne saltavo anche parecchi e per fortuna c’è stata quella… metà degli insegnanti che ha capito. Ho fatto agraria, sì, ed è questo un altro dei miei sogni. So bene che la vita di un’atleta non dura molto, tutti a ripetermi di pensare al futuro e il sogno allora è quello di arrivare ad avere una mia azienda agricola e appena posso vado qui da un mio amico, ha una stalla, mucche da latte, mi piace e mi sento bene».
Identikit
«Come ti ho detto, qui in casa, giù nello scantinato ce l’ho ancora quella mia prima bici gialla e ho pure quella prima bici da corsa quando correvo qui in paese; poi una da ciclocross e quella del Campionato italiano. Sulle misure, su come deve adattarsi a me, ci sto parecchio attento, mentre invece sulla pulizia non è che sia proprio maniaco. D’accordo, la bici sporca non è il massimo, anche come immagine se vuoi, diciamo insomma che è comunque sempre in ordine. Il mio forte sono le salite, lì mi trovo bene; dove sono un po’ debole è nelle cronometro e visto che vorrei diventare un buon corridore nelle corse a tappe, devo e dovrò migliorare. Sinora qualche risultato l’ho avuto in quelle di 5-10 giorni, certo però che un altro dei sogni che ho è quello di arrivare tra i primi in un grande giro. Un riferimento? Su quello scaffale, vedi, ci sono tutti i libri che hanno scritto su Pantani. Io sono del ’99, non è che l’ho proprio vissuto lui, però è sempre a lui che guardavo, sempre, non so perché»
In maglia tricolore
«Essere campione d’Italia non l’ho realizzato subito, mi ci sono voluti dei giorni, trovandomi a indossare quella maglia, i primi allenamenti e dove proprio l’ho capito è stato nelle prime gare. È stato bello e inaspettato, non ero pronto e certo so bene di avere adesso ancor più responsabilità. Sì, quel video ce l’ho sul telefonino, lì ancora a domandarmi se sono proprio io quello che vince: rivedere le vittorie è bello e questa la ricorderò per sempre».
Settimana tipo
«In preparazione mi alleno tutti i giorni, iniziando dal lunedì con forza in palestra e bici al pomeriggio, in agilità. Ancora forza al martedì, anche quattro ore in bici, ripetute da 3-4 minuti in salita col rapporto duro, tenendo d’occhio la frequenza dei watt. Al mercoledì uscite anche di sei ore, salite lunghe, quelle qui dell’altopiano di Asiago; un po’ di scarico al giovedì e ancora salita e forza al venerdì; idem al sabato con un altro lavoro bello lungo, poi la domenica, ancora sulle sei ore. In periodo di corse, primi due giorni un po’ tranquilli per smaltire la gara e poi sempre ore e ore di lavori misti, con pure dietro moto e pianura, pensando alle cronometro…»
Un altro gradino
«Essere adesso con una squadra World tour è un altro gradino, altro sogno realizzato, avendo per compagni dei campioni che io ho sempre guardato in televisione. Subito dopo il Lombardia c’è stato il primo mini-ritiro ed ero così seduto a tavola con “quella squadra”, per me come andare all’università, quasi un partire da zero, in fondo non sono nessuno ancora… voglio imparare e cercare di “emergere” di più, anche per ripagare della fiducia che hanno verso di me. Intanto integrarmi nel gruppo e vedere di dare qualcosa in più, di finire qualche gara là davanti, la indosserò sino a giugno questa maglia. Di mio sono più uno silenzioso, anche timido la sua parte, però so bene che bisogna interagire e dopo un po’ ci sono. Altra cosa che devo migliorare è il mio inglese, ora è così così, ti porta dappertutto lui».
Mai mollare
«I miei amici mi trattano come sempre, so bene di essere sempre io e spero di restare così. D’accordo, la maglia di campione italiano, soddisfazione e onore, però la vita di tutti i giorni è sempre la stessa, anche se sei spesso in giro per il mondo. Non ci si vede tanto, di tempo non ce n’è, però qualcosa resta impresso lo stesso: ti vedi e ricordi, anche questo è un privilegio. Anni fa le sentivo molto di più le corse, ora meno, sono allenato. Perché sì alla bici? Intanto mi vien da dire che il primo consiglio è quello di fare comunque dello sport, di non starsene chiusi lì in casa. Io sono di parte, lo so, la bici mi piace anche perché sei fuori all’aria aperta. Quel che ho imparato con la bicicletta? Di non mollare mai e di saper soffrire: se molli, hai perso».
Il profilo
Classe 1999, da Piovene Rocchette (Vicenza), ciclista professionista dal 2020, Filippo Zana ha iniziato con la bici con la società del suo paese, a sei anni (la Scuola ciclismo Piovene Rampon), passando poi via via con la Contri Autozai, la Cage Maglierie, ancora la Contri, poi la Trevigiani sino a passare professionista con la Bardiani Csf. Nel 2022, dopo il primo posto nella classifica generale dell’Adriatica Ionica Race (quattro tappe), ha vinto ad Alberobello il titolo di campione italiano su strada. Dalla prossima stagione sarà con la BikeExchange-Jayco, formazione World tour, che annovera tra gli altri Simon Yates, Michael Matthews e Zdenek Stybar.