Su Rai1 la miniserie “La guerra è finita”: le storie dei bambini sopravvissuti alla Shoah
La miniserie in onda dal 13 gennaio su Rai Uno, trova la sua originalità decidendo di raccontare il periodo immediatamente successivo alla Guerra, i giorni dopo la Liberazione in Italia; e chiave altrettanto originale è la condivisione dell’elaborazione dei traumi della Shoah seguendo il percorso di ripresa, di riscatto, di bambini ebrei sopravvissuti
Un “Braccialetti rossi” del Dopoguerra. Così lo ha definito il produttore Carlo Degli Esposti, che con la sua Palomar in collaborazione con Rai Fiction produce “La guerra è finita”, miniserie in quattro puntate in onda su Rai Uno da lunedì 13 gennaio. In prossimità della Giornata della memoria, il 27 gennaio, ma anche in tempi bisognosi di testimonianza, la Rai scommette su un racconto della Shoah con una prospettiva originale, per certi versi quasi inedita: l’infanzia.
È vero, se si parla di cinema, il pensiero va subito a “La vita è bella” (1997) di Roberto Benigni oppure a “Il bambino con il pigiama a righe” (2008) di Mark Herman; ancora prima, poi, ci sono “Jona che visse nella balena” (1993) di Roberto Faenza e “Arrivederci ragazzi” (1987) di Louis Malle. Racconti tutti, potenti e delicati, incentrati sulla notte buia della Storia dell’uomo, sugli anni di smarrimento delle leggi razziali e della “soluzione finale” al tempo della Seconda guerra mondiale. “La guerra è finita” trova la sua originalità decidendo di raccontare il periodo immediatamente successivo alla Guerra, i giorni dopo la Liberazione in Italia; e chiave altrettanto originale è la condivisione dell’elaborazione dei traumi della Shoah seguendo il percorso di ripresa, di riscatto, di bambini ebrei sopravvissuti: feriti nel corpo, mutilati nell’animo, ma pur sempre bambini capaci di riaffermare il bisogno di vita.
Primo Levi e l’esperienza di Selvino
Autore del soggetto e della sceneggiatura della miniserie “La guerra è finita” è Sandro Petraglia, che tra i tanti lavori firmati tra cinema e televisione annovera “La meglio gioventù” (2003). Petraglia ha pensato a questa nuova storia – vera ma dai contorni di finzione –, partendo da Primo Levi ma anche dall’esperienza di Selvino. Anzitutto Primo Levi e quel suo libro “La tregua”, divenuto poi un film per la regia di Francesco Rosi, per il quale lo stesso Petraglia ha lavorato all’adattamento insieme a Stefano Rulli. Lì, da quel racconto, Petraglia ha compreso la grandissima difficoltà che a tutt’oggi esiste nel mostrare l’orrore dei campi, nell’aprire l’occhio della macchina da presa sull’indicibile – tra le opere più recenti quello che ha saputo darne conto con drammatica efficacia è il bellissimo film “Il figlio di Saul” di László Nemes, Oscar miglior film straniero nel 2016 –, pertanto ha ideato “La guerra è finita” a partire dal ritrovamento della libertà, dal 1945. E a dare spessore poi alla storia c’è stata la documentazione dell’esperienza di Selvino, comune nei dintorni di Bergamo dove nel Dopoguerra è stata creata una casa dei bambini ebrei sopravvissuti.
Giulia e Davide, angeli custodi nella Notte
La storia ruota attorno all’impresa dell’ingegnere Davide (Michele Riondino) e della psicologa Giulia (Isabella Ragonese). Due scampati alla guerra, con molti irrisolti e sofferenze sottotraccia: Davide è stato risparmiato dai rastrellamenti, ma la moglie e il piccolo figlio sono finiti nei lager tra Germania e Polonia; Giulia, figlia di una famiglia bene, si ribella al suo ambiente protetto per mettersi in gioco accanto a chi è in difficoltà, a chi non ha più nulla.
Con loro c’è anche Ben (Valerio Binasco), ex ufficiale della Brigata ebraica, e tutti insieme danno accoglienza a un nutrito gruppo di bambini ebrei appena liberati dalla prigionia nazista, allestendo un riparo in un podere di fortuna in Emilia-Romagna.
È l’inizio per tutti di un lungo viaggio dal buio alla luce: rinascere alla vita.
Vibrante racconto di taglio educativo
Oltre alla penna esperta di Petraglia, la serie “La guerra è finita” trova grande forza e pathos dalla regia solida di Michele Soavi, che abbandona i toni chiaroscuri del suo cinema di genere per comporre un racconto sì sofferto, spinoso, ma anche molto delicato e rispettoso.
La miniserie si muove, infatti, in un terreno tematico più volte esplorato ed elaborato, ma sempre complesso da gestire, perché la ferita della Shoah è ancora profonda, bruciante.
Riuscire, pertanto, a maneggiare il tema della memoria con la giusta sensibilità e delicatezza, con innesti persino di leggerezza, era impresa non di poco conto. E l’ottimo risultato raggiunto si deve, oltre al lavoro di regia, scrittura e cast – attori tutti in parte, in particolare Riondino e Ragonese, incisivi e misurati –, anche all’esperienza di lungo corso della Palomar, che da oltre vent’anni compone opere di grande risonanza e rigore: “Perlasca”, “Il commissario Montalbano”, “Braccialetti Rossi”, “Il giovane favoloso”, “La paranza dei bambini”.
“La guerra è finita” è una miniserie quindi che punta al racconto della Storia, a fare memoria, seguendo un taglio divulgativo-educativo.
Un racconto di bambini e giovani del recente passato, pensato per altri giovani, quelli di oggi, bersagliati spesso nelle praterie social da pericolosi tentativi di riscrittura della Storia e di banalizzazione del Male.
Come ha ricordato papa Francesco nella visita alla Sinagoga di Roma nel 2016: “La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace”.