Sanremo, e il bisogno di ritualità
In Sanremo una cosa è chiara: l’uomo ha bisogno del canto, non gli basta la parola. Il canto conferisce alla parola una qualità intuitiva unica, che non passa dal cervello, ma arriva direttamente al cuore. Nel canto che un altro canta, io posso trovare la sintesi di quanto penso e provo, mi ci ritrovo, posso fare mio quel canto. Forse non si tratta solo di consumare… oltre all’intrattenimento, forse nei riti di Sanremo il nostro popolo cerca, di anno in anno, quella canzone che possa salvarlo da quanto vive come non-senso, dandogli modo di esprimersi
Anche quest’anno ci siamo: da oggi arriva Sanremo, o sarebbe più giusto dire San Remo, ricorrenza da calendario dell’anno liturgico del culto dei consumi. Eh sì, perché anche lo spettatore/consumatore, come ogni credente, cioè come ogni persona che chiede la vita a qualcosa di altro da sé, ha le sue feste, le sue memorie liturgiche, i suoi riti. Talvolta questo calendario sgargiante e commestibile s’incrocia con quello cristiano, per lo più accordandocisi quietamente (si pensi al Natale), a volte destando qualche perplessità, come quando nel 2018 il Mercoledì delle Ceneri ebbe la malaugurata idea di capitare il giorno di San Valentino (!), che nel calendario pop è la festa più importante dell’anno per i sentimenti a buon mercato, alla faccia dei Santi Cirillo e Metodio; in quel caso i Vescovi dovettero prendere posizione, e ci fu chi la prese per le Ceneri, chi per il trionfo dell’amore e del cioccolato – la Chiesa è bella perché è varia, e pensa e parla al plurale, dimostrando peraltro che se ancora va avanti è indubbiamente per la guida del Signore stesso.
Con Sanremo 2022 invece non si rischiano problematici intrecci: sì, è vero, ci sarà di mezzo la Candelora, ma quella per i più conta solo per vedere se siamo fuori dall’inverno; non si rischiano conflitti né sovrapposizioni, e dunque il palco è tutto per San Remo, patrono della canzone italiana e dei giudizi facili, del quietismo televisivo e delle kermesse.
Il rito è quotidianamente officiato dai Sommi Sacerdoti che ogni anno vengono eletti con gran clamore mediatico. Essi, coperti parimenti di gloria e di polemiche, conducono, animano, intervallano e sollecitano, mentre i vari cantanti, come i bardi antichi presso i falò, ma stavolta attraverso il fuoco freddo degli schermi, aiutano le persone a superare le rigide notti d’inverno, o quelle ancora troppo acerbe dei primi di marzo, intrattenendole. Nulla è lasciato al caso, e ciò ovviamente comprende il periodo della liturgia di Sanremo che, come quella delle altre religioni, affonda le sue radici nei cicli del tempo e delle stagioni: in questo caso, nei periodi in cui ancora si sta volentieri a casa la sera, e più facilmente si usa la tv.
La tv… essa stessa retaggio del passato, incongrua per le nuove generazioni quanto un altare o un ambone: l’idea che sia la tv a proporti un palinsesto, a dirti quello che vedrai stasera… semplicemente inconcepibile! Ora ci sono gli schermi, non le tv, e questi schermi servono solo a ingrandire quello che io decido di vedere dal mio pc o cellulare sui siti a pagamento. L’intrattenimento ormai è un self-service in cui abbuffarsi, non certo un percorso enogastronomico guidato! Eppure si sa che durante le feste si rispolverano riti atavici e si fanno cose desuete e ordinariamente incongrue, tipo andare a Messa, per di più a notte fonda, oppure sedersi pazientemente davanti a una tv e accettare che sia lei a dirci cosa vedremo.
Come in ogni rito ben fatto, il popolo che assiste deve essere in qualche modo coinvolto nell’azione liturgica, e in questo caso lo fa attraverso i suoi rappresentanti votanti, il cui responso spesso si discosta assai da quello della casta giornalistica, divisa nei tre ordini di Sala Stampa, TV, Radio e Web. Il voto dei telespettatori reincarna la vox populi vox Dei, e incombe sugli officianti come fato numinoso. Ci sarà alla fine l’apoteosi dell’Eroe, e qualche persona talentuosa avrà avuto, giustamente, un po’ di visibilità.
Conclusi i giorni della festa, seguirà un ottavario di considerazioni social, e poi via, di nuovo alla sordida e grigia ferialità – ma ecco: il consumatore trova già uno spiraglio nell’imminente San Valentino di cui sopra, mentre già avanzano le ondate di frappe, castagnole e coriandoli del Carnevale… ancora per un po’ si potrà non stare nel feriale, non vivere l’ordinario.
In attesa del prossimo Sanremo: come sempre attendiamo le feste che ci siamo appena lasciati alle spalle.
Come già detto per “la magia del natale”, non c’è niente di male se un Cristiano si sofferma un po’, e si lascia intrattenere dai “giochi di bambino” del mondo, in cui comunque vive e opera. Questo calendario dei consumi, questo culto dell’intrattenimento, sono realtà che non dobbiamo snobbare, ma cercare sempre più di capire, per capire qual è il grido del cuore dei nostri fratelli e sorelle, troppo spesso coperto dal rumore (o dalla musica).
In Sanremo una cosa è chiara: l’uomo ha bisogno del canto, non gli basta la parola. Il canto conferisce alla parola una qualità intuitiva unica, che non passa dal cervello, ma arriva direttamente al cuore. Nel canto che un altro canta, io posso trovare la sintesi di quanto penso e provo, mi ci ritrovo, posso fare mio quel canto. Forse non si tratta solo di consumare… oltre all’intrattenimento, forse nei riti di Sanremo il nostro popolo cerca, di anno in anno, quella canzone che possa salvarlo da quanto vive come non-senso, dandogli modo di esprimersi.
Riuscirà a trovarlo nelle canzoni di Sanremo 2022? Sicuramente questo è un periodo in cui l’arte deve diventare più che mai profetica, e riscoprirsi servizio più che esibizione.
Alessandro Di Medio