Il cuore davanti a tutto. Su Rai Uno e RaiPlay la serie Tv “Lea. Un nuovo giorno”
Diretta da Isabella Leoni con Anna Valle e Giorgio Pasotti: infermieri e medici raccontati nell’impegno del quotidiano.
Non solo “Doc”. Il 20 febbraio è stata la Giornata nazionale del personale sanitario e del volontariato, ricorrenza che ha assunto una chiara risonanza nella cornice della pandemia. E la Rai a febbraio è in onda con due titoli forti che raccontano proprio le vite e l’eroismo quotidiano di medici e personale sanitario tutto. La prima è “Doc. Nelle tue mani”, serie che si muove nel solco di un genere collaudato, il medical drama, ottenendo pieni consensi tra critica e pubblico. Novità è invece “Lea. Un nuovo giorno”, medical drama sì ma molto sbilanciata sul binario del sentimento; un racconto costruito sulla resilienza e la determinazione di un’infermiera – singolarità della serie, perché il più delle volte è il camice del dottore a fare da capofila –, che si rapporta alla professione con diffusa tenerezza. “Lea. Un nuovo giorno” (8 episodi) è diretta da Isabella Leoni e prodotta da Rai Fiction e Banijay Studios Italy. Protagonista è Anna Valle; accanto a lei Giorgio Pasotti, Mehmet Günsür, Daniela Morozzi e Primo Reggiani.
Curare con tenerezza. Ferrara oggi, Lea Castelli è un’infermiera che torna in corsia dopo un’aspettativa. Ha perso un bambino all’ottavo mese di gravidanza e il suo matrimonio è imploso. Ritrovate le forze, si dedica anima e corpo alla professione. In ospedale ritroverà amici, colleghi, ma anche l’ex marito Marco Colomba, nuovo primario della struttura.
Pros&Cons. Chiariamolo subito, l’originalità della serie “Lea. Un nuovo giorno” non risiede nel genere o nello stile narrativo, che sposa pressoché rodate regole da serialità italiana fine anni ’90 e primi anni Duemila. La forza di “Lea” è tutta nelle sfumature del sentimento messe in campo, sfumature affidate soprattutto a una brava e solida attrice, Anna Valle, che veste il personaggio dell’infermiera con grande credibilità e umanità, una professionista che si rapporta ai pazienti e ai familiari con comprensione, ascolto ed empatia. Lea porta con sé il bagaglio della sofferenza, il peso della perdita (un figlio mai nato), trauma che non l’ha vinta, bensì le ha cambiato la prospettiva (un po’ come il personaggio di Andrea Fanti in “Doc”): rinascere con umanità dopo una tragedia, riscoprire il senso di una professione, di una vocazione, partendo anche dalle proprie ferite. Come ha sottolineato la regista Leoni: “Da donna e madre ho cercato di calarmi nei panni di Lea, un’anima profondamente traumatizzata che cerca di tenere insieme i pezzi frantumati del suo essere. Volevo raccontare un personaggio femminile forte e sensibile che vuole sopravvivere al dolore di una grande e terribile perdita. Ogni perdita porta in sé la capacità di rinascere”. Il successo di “Lea” si può legare inoltre al frangente storico-sociale del momento, non solo per il racconto “eroico-umanizzante” di medici e sanitari, ma anche per il diffuso bisogno di speranza, di ripartenza, di rimettere in piedi l’economia ma soprattutto il sogno di un Paese. La serie “Lea” è consigliabile, problematica e adatta per dibattiti.