Integrare la dimensione digitale nella pastorale
Qualche giorno fa ero a Napoli per WeCa, l’Associazione WebCattolici Italiani, per due giornate di formazione nel Seminario arcivescovile “Card. Alessio Ascalesi”.
Nel “menù” – grazie agli esperti WeCa come Fabio Bolzetta, don Paolo Padrini, Andrea Tomasi, Filippo Andreacchio e Giampiero Neri – temi quali “il cammino della Chiesa nell’ambiente digitale”, ma anche le novità dell’intelligenza artificiale al confronto con la fede, e l’immancabile carrellata sugli strumenti utili da impiegare nella pastorale sul campo. Durante il mio intervento (l’ultimo in scaletta) dedicato ai podcast, mi sono accorto che stavo spiegando (o cercando di spiegare) le connessioni tra nuove tecnologie, pastorale e spiritualità a una platea assai più giovane di me. Certo, nella sala conferenze del seminario in zona Capodimonte qualche poltroncina sarà stata occupata da vocazioni adulte, ma la stragrande maggioranza dei presenti apparteneva alla generazione Z, quella dei nati a cavallo del millennio. Dal dialogo con loro abbiamo capito quanto sia decisivo il tema dell’integrazione della dimensione digitale delle nostre vite anche nella pastorale, ma che per questo non basta essere degli “smanettoni”. La conoscenza tecnica degli strumenti, tra l’altro sempre più facili da utilizzare, non è la competenza più importante in questo campo. Anche essere giovani e “nativi digitali” può aiutare, ma non basta. Per “una piena presenza” – questo il titolo della formazione – occorre certo studiare e riflettere, ma soprattutto capire chi siano l’uomo e la donna che vogliamo oggi raggiungere con l’annuncio del Vangelo di Cristo. Più che fare le omelie sui social, è importante che le domande, le fragilità, le ricerche di significato che vengono amplificate dai social trovino risposte nelle nostre omelie.
Andrea Canton
Giornalista, fa parte di Weca-Webcattolici Italiani