Atlante delle parrocchie 2: da Arsego a Barbona
Secondo fascicolo della raccolta dedicata a storia, arte, servizi delle 459 comunità parrocchiali della diocesi. Tra le opere d'arte spicca lo straordinario Cristo di Arzerello, opera di un allievo del Donatello.
La presenza di Donatello nella Saccisica
La citazione del Cristo di Arzerello, la cui festa si celebra il 1° maggio a ricordo del voto stretto dalla città di Piove per fermare la peste, cade opportuna vista l'attenzione che sull'autore e sulle sue opere padovane ha suscitato la mostra diocesana su “Il Donatello svelato” organizzata nel 2015.
L’opera infatti si dimostrò agli occhi degli esperti chiaramente quattrocentesca e si fece quindi l’ipotesi di una sua fattura donatelliana. Donatello, che trascorse dieci anni a Padova, tra il 1443 e il 1453, nell’estate del 1447 pare abbia soggiornato con i suoi allievi presso la comunità francescana di Bovolenta, distante pochi chilometri da Piove.
Era quindi possibile che i Serviti, che avevano un convento lì vicino e furono poi chiamati a officiare la chiesa di Santa Maria Dolente, ora parrocchiale di Arzerello, avessero commissionato all’artista la statua. La stessa congregazione appare ora committente del crocifisso in mostra al museo diocesano.
Non è di Donatello, ma di un valente artista della sua cerchia
La critica ha deciso che la statua di Arzerello non è di Donatello, ma comunque di un valente artista della sua cerchia, che l’ha realizzata nella seconda metà del Quattrocento.
Donatello – scrive Luca Piva in Padova e il suo territorio – venendo nella città di Tito Livio trovò qui alimento alla componente classicheggiante che era presente, ma non sempre predominante nelle sue opere.
Questa componente classicista manca nel Cristo di Arzerello, che si può assegnare alla tipologia dell’”uomo dei dolori” o “Cristo passo”, di derivazione bizantina: Gesù crocifisso (come testimoniano le ferite alle mani, ai piedi e al costato) si alza in piedi e indica ai fedeli le sembianze della sua sofferenza, così da condividere il dolore che è nel destino di ognuno.
L'eloquenza patetica di un corpo stremato e doloroso
La statua lignea non ha la compostezza formale delle opere rinascimentali, ma è piuttosto scolpita con l’intento di evocare la pietà e la partecipazione con una schietta enfasi narrativa, sopravvissuta fin nelle prime generazioni dei seguaci padovani di Donatello come Bartolomeo Bellano.
Un’eloquenza patetica espressa con vigore, senza reticenza, «nel gestro stremato, nella fragilità dolorosa espressa nell’anatomia degli arti e del torace, nella smorfia che spalanca la bocca e deforma il viso, esausto e atterrito dal male sopportato. Non è questa la rappresentazione di un Dio sovrumano, ma di un Dio infinite volte umano, che ha scelto di offrire la propria carne allo stesso dolore che patisce ogni uomo di fronte al morire».
Scomparso per secoli, tornò alla luce grazie a un contadino
Se l’origine del Cristo di Arzerello è avvolta ancora nel mistero (lo stesso Piva auspica una ricerca sistematica di storia dell’arte sull’argomento), anche per le vicende successive è difficile distinguere storia e tradizione: la statua collocata nella chiesa della Natività di Maria, detta “Madonna del popolo”, ai tempi della guerra di Cambrai fu sepolta in una cassa.
Riportata alla luce nel 1550 da un contadino che stava arando, i cui buoi si rifiutarono di proseguire il solco, fu collocata nella cappella fatta erigere da Pietro Dotto. Da allora la gente della Saccisica non ha mai cessato di rivolgersi al Cristo miracoloso con confidente fiducia.
Le parrocchie del secondo fasciolo
Il secondo numero dell’Atlante delle parrocchie presenta, in ordine alfabetico, 13 comunità: Arsego, Arsiè, Arten, Arteselle, Arzercavalli, Arzerello, Arzergrande, Asiago, Bagnoli, Balduina, Baone, Barbano e Barbona.
Tra le opere d’arte degne di particolare menzione vanno ricordate il Cristo crocifisso di Arsiè, della metà del Quattrocento, la statua lignea con la Madonna con Gesù bambino di Francesco Terilli, celebre scultore feltrino d’inizi Seicento, al centro quest’anno del bicentenario delle feste di Arten, iniziate nel 1815. Non è più a Balduina la tela di San Giovanni attribuita al Rubens e ora a Van den Dyck.
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