Welfare in azienda. Un sistema ancora in chiaroscuro
Sono aumentate le donne, i single, gli anziani. E insorgono nuove esigenze.
Uno dei soggetti che negli ultimi anni è stato stimolato a fornire servizi sociali è l’azienda, anche a partire dalla legge di bilancio del 2016. A distanza di un anno, il primo rapporto Censis-Eudamon sul welfare aziendale mostra gli elementi in chiaroscuro della realtà. La legge si poneva due obiettivi: rafforzare le coperture sui grandi rischi (inattività e malattia) e alleviare la pressione quotidiana sui lavoratori.
Sebbene gli obiettivi siano importanti, la realtà mostra le difficoltà della loro realizzazione. Se ne individuano di due aspetti. Innanzitutto c’è un problema di dimensioni: le piccole e medie imprese, che in Italia impiegano quasi il 40 per cento degli occupati, generalmente non hanno le strutture adeguate per organizzare servizi di welfare, un problema a cui si potrebbe ovviare con azioni di welfare interaziendale all’interno di specifici territori. Inoltre ci sono diverse situazioni in cui la differenza di redditi all’interno delle aziende è molto evidente e in questo caso le prestazioni erogate appaiono dei benefit premianti piuttosto che dei servizi per tutti.
L’altro aspetto riguarda le questioni esterne. In questo senso uno dei problemi evidenziati è quello della carenza informativa: molti italiani infatti non sono a conoscenza del welfare aziendale. L’altro aspetto di rischio percepito è quello della commercializzazione dei servizi.
Allo stesso tempo, nelle aziende dove l’applicazione è stata adeguata ai bisogni i lavoratori sono stati soddisfatti. Uno degli elementi che i ricercatori hanno evidenziato è l’importanza di considerare il profilo dei lavoratori. Sono aumentate le donne, i single, gli stranieri e gli anziani: le misure sono molto efficaci quando si indirizzano agli equilibri sui tempi di vita e quando sostengono le prestazioni mediche.