“Votare significa esserci. Simone c'è stato, ma ho dovuto lottare”. Una caregiver racconta
Simone può votare, ma non può andare a votare: come lui, tante altre persone cosiddette “intrasportabili”. Per loro è previsto il voto a domicilio, ma solo a seguito di visita medico legale. “Quella fatta quattro mesi fa per il referendum non bastava. E così, Simone ha rischiato di non votare”
Simone può votare, sa votare e vuole votare: ha una gravissima disabilità, che gli impedisce di recarsi fisicamente al seggio senza rischiare la vita. Ma ha una coscienza civica e politica, per cui vuole esercitare il suo diritto di voto. Può farlo a domicilio, come è previsto dalla legge, essendo Simone uno dei cosiddetti “elettori intrasportabili”. Ma non è semplice come sembra, o meglio come dovrebbe essere. Tanto che, appena due giorni fa, sua mamma, Sara Bonanno, denunciava sui social: “A me e Simone è stato proibito il voto. Che sia chiaro: hanno tolto questo diritto”. Perché? Cos'è successo?
Ce lo spiega stamattina Sara Bonanno: “In Italia una persona con disabilità fa una fatica enorme ad accedere al voto, soprattutto se ha una disabilità così severa da impedirgli di recarsi fisicamente al seggio senza rischiare la vita. I cosiddetti elettori 'intrasportabili' sono questo: persone per cui il semplice uscire, anche solo per fare una passeggiata, equivale a rischiare la vita o danni molto seri. Non solo perché per uscire devono portarsi dietro tutta una serie di apparecchi elettrici che permettono loro di respirare, di nutrirsi ed idratarsi, di monitorare le loro funzioni vitali, di evitare atroci sofferenze e di comunicare, ma proprio perché le loro condizioni non sono stabilizzate e, quindi, il semplice trasporto potrebbe rappresentare un precipitare in una emergenza devastante. Ebbene, secondo lo Stato Italiano queste condizioni, connesse con forme di patologia estrema ed ingravescente, potrebbero migliorare, visto che, ad ogni voto, l’elettore intrasportabile deve presentare un certificato medico legale di intrasportabilità effettuato, ovviamente, a domicilio. E questo, anche se si vota a distanza di pochissimi mesi”.
Ed è proprio questo il punto che ha rischiato di escludere Simone dal diritto di voto: “Meno di quattro mesi fa gli elettori sono stati chiamati a votare per il referendum – ricorda Bonanno - Come ogni volta Simone si è apprestato a fare il suo dovere di cittadino, preparandosi diligentemente mesi prima con l’equipe professionale che lo segue da anni, in modo da compiere una scelta perfettamente informata e consapevole. E Simone si prepara talmente bene che finisce per essere la persona più informata di tutti su ogni aspetto di qualsiasi questione. Anche quella volta, infatti, Simone ha dovuto sottoporsi alla visita medico legale domiciliare, malgrado fosse stata effettuata meno di un anno prima, per le elezioni comunali. Ma l’ultima volta, il medico legale, anch’esso abbastanza sbigottito di dover certificare l’ovvio mediamente una volta l’anno (tra elezioni amministrative, nazionali, europee e referendum), ci disse che per legge qualsiasi certificato medico legale dura 6 mesi. Certificato che, si badi bene, costa alla collettività circa 1000 euro per ogni rilascio!”. Per questo, Sara era certa che non fosse necessario rinnovare il certificato, ma per estrema precauzione ha scritto due Pec all'ufficio elettorale a inizio mese, “per capire se dovessimo ripetere nuovamente questa costosa ed umiliante trafila. Dall’ufficio elettorale non c’è stata alcuna risposta. Ma stavolta eravamo ottimisti, perché a queste elezioni ci sarebbe stata una novità: i malati di Covid avrebbero potuto votare a domicilio con una procedura semplice ed immediata anche a ridosso del giorno delle elezioni. Se la burocrazia aveva potuto modificare la procedura per dei malati temporanei, pensavo, a maggior ragione nei contesti di malattia permanente, ingravescente e talmente grave da rendere intrasportabile il paziente, non poteva pretendere l’ennesimo certificato medico legale sull’ovvio, quando ne possedeva già uno non scaduto”.
Grande amarezza e delusione, allora, quando “il giorno prima delle elezioni ci è stato chiaro che, non avendo ricevuto nessun contatto dal seggio elettorale, Simone non avrebbe potuto votare. Ma per Simone, votare significa esserci, significa scegliere, significa rivendicare il suo diritto all’uguaglianza, soprattutto significa sentirsi parte di uno Stato. Nulla è più determinate, per chi ha una disabilità molto grave, che essere considerato un cittadino, con diritti e doveri, come tutti”.
Così, Bonanno ha condiviso la sua grande delusione e la rabbia sui social, annunciando, appunto, che a Simone sarebbe stato negato il diritto di voto. A quel punto, rilanciata dal quotidiano RomaToday, la denuncia di Bonanno è arrivata all’attenzione degli assessori alle Politiche Sociali ed alla Salute del Comune di Roma, Barbara Funari ed Andrea Cartaci, che hanno ottenuto il permesso al voto di Simone. E Simone, anche questa volta, ha potuto votare nella sua casa. “Sia io che Simone abbiamo una speranza: che questo trambusto che ci è capitato possa servire a rivedere in maniera meno vessante, ed umiliante, l’iter per il voto domiciliare per gli elettori intrasportabili. Tanto più che, dal punto di vista burocratico, è ormai acclarato si sia potuto fare per i malati temporanei di Covid”.
Accanto alla soddisfazione e alla speranza, c'è però l'appello per un altro cambiamento necessario: il riconoscimento del diritto di voto del caregiver. “Accanto ad ogni elettore intrasportabile c’è una elettrice caregiver familiare, che non può allontanarsi nemmeno il tempo di recarsi alle urne, perché non può lasciare l’assistenza di un malato in condizioni così gravi da non poter sopravvivere senza assistenza nemmeno una manciata di minuti. Ma non esiste nessuna tutela del diritto di voto per i caregiver familiari come me. Ieri per fortuna a mio figlio è stato permesso di votare, ma a me no. E non è la prima volta che io devo scegliere tra la vita di mio figlio ed il mio diritto al voto. In Italia viene garantito il diritto al voto per i detenuti, viene garantito il diritto per chi è all’estero e questa volta anche per chi ha contratto il Covid. Ma per le tante donne, caregiver familiari come me, questo diritto viene sistematicamente negato. Mi auguro che la prossima volta sia permesso a entrambi di esercitare il nostro diritto dovere di cittadini”.
Chiara Ludovisi