Un reddito per le donne vittime di violenza: la proposta di Pensaci Prima
Una campagna di mobilitazione contro la violenza di genere per la regione Emilia-Romagna in vista del voto del 26 gennaio. Tre le richieste: raddoppio delle risorse ai centri antiviolenza, sostegno economico alle vittime, istituzione di un fondo regionale. I candidati alla carica di Governatore rispondono in un video
BOLOGNA – Raddoppio delle risorse ai centri antiviolenza, sostegno economico alle donne attive in percorsi di fuoriuscita dalla violenza e istituzione di un fondo regionale per coprire le spese di assistenza legale. Sono questi i 3 punti che le attiviste e le professioniste artefici della campagna di informazione “Indietro March” – lanciata in occasione della manifestazione di protesta contro il Congresso Mondiale delle Famiglie a Verona lo scorso 30 marzo 2019 – hanno scelto di indicare per il lancio di “Pensaci Prima”, campagna di mobilitazione contro la violenza di genere per l’Emilia-Romagna, promossa in occasione del voto del 26 gennaio per chiedere a chi si candida a governare la regione di adottare nella propria agenda politica delle azioni programmatiche concrete sulla violenza contro le donne.“Nessuno si dichiara mai favorevole alla violenza di genere – denunciano –, eppure le misure prese dalla politica perché questo preoccupante fenomeno cessi e perché le persone vengano sostenute, accolte e supportate nel reinserimento nel mondo del lavoro, sono ancora troppo poche. In occasione delle elezioni regionali in Emilia-Romagna, vogliamo chiedere ai candidati e candidate di assumersi l’impegno di portare avanti tre proposte programmatiche con il sostegno di tutti coloro che vorranno aderire all’azione”.Le proposte nascono da interviste dirette a operatrici dei centri-antiviolenza della regione e alle donne che stanno partecipando a percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Come anticipato, sono 3. La prima richiesta è raddoppiare le risorse ai centri antiviolenza: “Chiediamo un fondo regionale strutturale, al posto di bandi annuali, che ogni anno garantisca contributi economici certi e proporzionali al fabbisogno di ciascun centro antiviolenza orientato da un’ottica di genere e incentrato sulla relazione tra donne, che garantisce segretezza e anonimato, un ascolto empatico e non giudicante e l’autodeterminazione delle scelte. Attualmente i fondi regionali sono di circa 76 centesimi al giorno per ogni donna accolta: chiediamo che si passi a 1,4 euro. I centri offrono, la maggior parte attraverso lavoro volontario o precario, servizi di prevenzione, accoglienza, pronto intervento, reperibilità 24h, consulenza legale, case rifugio, percorsi di orientamento al lavoro, consulenza psicologica”.La seconda proposta è un reddito mensile per le donne vittime di abusi: “Chiediamo un reddito mensile di 780 euro per le donne che hanno subito violenza e maltrattamenti per sostenerle nel percorso di separazione e di ricerca o reinserimento nel mondo del lavoro proporzionale alle necessità della singola persona fino a un massimo di due anni”. Come spiegano le organizzatrici, dopo la prima accoglienza e accompagnamento delle donne che hanno subito violenza arriva una fase altrettanto complessa, quella del reinserimento. Spesso è necessario ripartire da nuova casa, una nuova scuola per i figli, un nuovo lavoro: “In Italia la maggior parte delle donne con figli sono economicamente dipendenti dai coniugi o dalla famiglia in cui è avvenuto l’abuso. Per sostenere fino in fondo il percorso di fuoriuscita dalla violenza va sostenuta l’autonomia economica delle donne, evitando così che ricadano per bisogno nelle logiche di abuso del passato”.Infine, il fondo regionale per coprire le spese di assistenza legale sia in ambito penale che in ambito civile, nei casi in cui non siano coperte dal patrocinio a spese dello Stato (gratuito patrocinio). In ambito civile, infatti, le donne che hanno un introito annuo lordo superiore agli 11.493,82 euro non sono ammesse a tale beneficio. Lo stesso limite di reddito vale anche in sede penale, tranne che per le vittime di determinati reati di genere. Tuttavia, anche in tali ultimi casi, non vi è alcuna copertura dei costi di consulenza e assistenza legale, prestate nella fase di indagini preliminari se, per qualunque ragione, a essa non segua la costituzione di parte civile.“Pensaci prima” è sostenuta dal Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna: “Grazie anche al contributo da parte del Coordinamento, il Piano regionale antiviolenza 2017-2020 annovera diversi passi avanti – spiega Angela Romanin, Presidente del Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna –: la fondazione dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere, un progetto di formazione sulla violenza indirizzato al personale sociosanitario, l’istituzione di un elenco regionale dei centri antiviolenza e delle loro dotazioni, il monitoraggio della distribuzione delle risorse nazionali sul territorio, i bandi sul lavoro e sulla casa per le donne che subiscono violenza, tra le iniziative positive più importanti. La campagna ‘PensaciPrima’ sfida la politica a impegnarsi contro la violenza sulle donne ponendosi degli obiettivi concreti e misurabili. Abbiamo salutato positivamente negli anni scorsi il riconoscimento, all’interno della Legge Quadro per la parità, della necessità di un Piano regionale antiviolenza con periodicità triennale. Chiediamo che chi si candida a governare la nostra regione si impegni non solo a continuare ma a sviluppare, nel nuovo Piano, il lavoro iniziato coinvolgendo i centri antiviolenza nella nuova progettualità e riconoscendone la centralità”.