Un libro profetico e di speranza. “Spillover” di David Quammen, scritto nel 2012, aveva già previsto scientificamente l’arrivo del Covid
Quammen ha seguito in Africa, America, Asia, Australia, Europa, tutte le disastrose epidemie che si sono verificate negli ultimi trent’anni.
Se qualcuno avesse il sospetto che l’acerrimo nemico del nostro oggi, il Covid-19, possa venire da lontano, in termini temporali, avrebbe ragione. La pandemia ha radici assai antiche, e “Spillover”, (ed. it. Adelphi, 2014, 575 pagine, 14 euro, tr. di L. Civalleri) libro dell’americano David Quammen, autore di studi assai importanti sulle epidemie che hanno funestato il nostro pianeta (ad esempio “Alla ricerca del predatore alfa”), ce lo dimostra.
Fin dal titolo: il termine infatti vuol dire salto di specie, passaggio da un animale ospite all’uomo, ad esempio.
Non è uno scherzo senza senso della natura, ma ha origini precise: il trasporto di animali che fungono da “amplificatori” da un clima ad un altro, come i cavalli portati in Australia da coloni europei due secoli fa; la disintegrazione da parte dell’uomo degli ecosistemi originari, attraverso la costruzione di autostrade gigantesche là dove esistevano boschi, torrenti, foreste, l’erosione del terreno vergine, spesso attraverso assembramenti spaventosi di animali che vengono visitati di notte da pipistrelli o altre specie i quali lasciano cadere deiezioni alla base di alcuni spillover; la caccia alla fauna selvatica che, chiamala bracconaggio o chiamala sport, sta causando devastazioni nell’ecosistema di interi continenti; l’aumento degli agglomerati urbani che concentrano milioni di persone in spazi ridotti e fortemente insalubri; e, ovviamente, un inquinamento globale che sta diventando, se non lo è già, irreversibile.
Il libro è uscito originariamente nel 2012, perciò non può essere sospettato di dietrologia scontata, anzi.
Quammen è uno che per i suoi reportage (pubblicati soprattutto su “National Geographic” e per i quali ha vinto il National Magazine Award) si informa non solo leggendo, ma andando sul posto. E perciò ha seguito in Africa, America, Asia, Australia, Europa, tutte le disastrose epidemie che si sono verificate negli ultimi trent’anni: Hendra, ad esempio, il cui spillover è avvenuto quando il patogeno è passato dai pipistrelli ai cavalli e poi agli esseri umani nel 1994. O Ebola, il cui ospite serbatoio potrebbe essere il pipistrello frugiforo, vale a dire mangiatore di frutta. Una malattia che sembra così lontana da noi, la malaria, in una sua varietà, la peggiore, ha probabilmente seguìto il percorso zanzara-scimpanzè-(di nuovo) zanzara-uomo. L’ Aviaria, per fare un altro tragico esempio, è passata da uccelli domestici all’uomo ad Hong Kong in un primo momento.
Perché, questo è il succo, a volte tornano, e si presentano, come a Honk Kong, come sintomi di influenze, “un’influenza del peggior tipo” precisa l’autore.
E già diversi anni fa si è iniziato a parlare di Coronavirus: ma nel 2003, sulla scorta dello studio di un rene di feto di “macaco reso”, si trovò, all’interno di un gruppo già “noto come coronavirus” un nuovo tipo, anch’esso “caratterizzato da una struttura proteica esterna fatta di frange appuntite”. Era la Sars, o meglio Sars-Cov, che secondo gli specialisti di malattie infettive, non aveva prima di allora mai infettato la specie-uomo. Doveva per forza venire da qualche animale “serbatoio”.
Il circolo infelice si chiude. L’uomo è entrato nella natura da predatore e la natura è entrata nell’uomo attraverso varie, imprevedibili trasformazioni.
Nel 2012 gli scienziati si ponevano la seguente questione: saremo in grado di affrontare con coraggio e con spirito autocritico virus che rappresentano una “seria minaccia per la salute pubblica e con alta capacità evolutiva?”. Se pensate a seriosi studiosi imbevuti solo di darwinismo meccanicistico, vi sbagliate: loro rispondono che l’uomo non è come altre specie che subiscono un picco demografico – una vera esplosione – e poi implodono, come alcuni bruchi.
No, l’uomo è dotato di una intelligenza che gli permetterebbe, il condizionale è d’obbligo, di sfuggire al determinismo fatalista capendo che se continuerà a picconare l’esile collinetta – la natura – su cui sta in equilibrio precario, la caduta è assicurata.
Non è un caso che in questo laicissimo libro si parli anche di san Francesco e del suo Cantico in onore della grande madre. Una lode al creato ripresa nell’enciclica di un Papa che ha scelto di chiamarsi come il poverello. A buon intenditor…