Turismo per tutti. Daniele che cammina nei boschi
Non vedente, Daniele Carnevali, 47 anni, si occupa di gestione turistica per una coop. Passeggia spesso nelle foreste casentinesi, dove esiste un sentiero in Braille
Badia Prataglia: porta d’accesso per il Casentino. Un suono metallico, gutturale, pervade i boschi silenziosi. I primi, attesissimi bramiti piovono a chiazze, senza precisione. Ogni anno, da metà settembre a metà ottobre circa, i cervi maschi (solitamente circoscritti in gruppetti) si preparano a prevalere sui vecchi compagni per potersi riprodurre. Giove e Saturno, all’imbrunire, sbucano oltre la collina, innalzandosi sopra un ripetitore che infastidisce il profilo montuoso dirimpetto. L’albergo-rifugio Casanova, a poche centinaia di metri dal paese, funge da crocevia e riparo per tanti viandanti, pensionati, turisti di passaggio. Daniele Carnevali, 47 anni, originario di Apecchio, un paesino nell’entroterra pesarese, chiacchiera allegro con un pugno di pellegrini, romagnoli dall’accento inconfondibile. Al suo fianco è adagiato sonnacchioso Quasar, il fidato cane guida. Quando l’oscurità cala come un sudario, seguo Daniele al primo piano della struttura, dove s’apre inaspettatamente una sala bar con piccola biblioteca annessa. I passi dell’uomo sono sicuri, a tratti sospesi, ma la direzione certa. Quasar rasenta placido pareti e panche in legno, assimila paziente i comandi impartiti dal compagno. «Lui è arrivato nel 2017», dice Daniele, accarezzando la sua testa nera e liscia. «Ho fatto domanda presso la scuola Cani guida Lions di Milano e dopo un paio di visite me l’hanno consegnato. L’inizio è stato difficile, ho perso d’un tratto tutti i riferimenti tattili essendo abituato a spostarmi col classico bastone bianco. Ora Quasar è indispensabile, siamo tutt’uno, non potrei muovermi senza di lui». Aderiamo al tavolo con risolutezza.
«Mi racconti in breve la tua malattia?», chiedo di getto, mentre due falene s’addossano al neon del frigorifero. «Sono nato in Svizzera da genitori italiani emigrati per lavoro. Correva l’anno 1977. Ho scoperto il glaucoma malformativo congenito bioculare a tre anni, grazie a una visita di routine predisposta dalla scuola dell’infanzia», racconta lentamente Daniele, pronto a stappare una birra. «Da quel momento hanno avuto inizio una serie di interventi chirurgici mirati a tamponare, o meglio ritardare, il processo inesorabile del glaucoma. Nel 1980 sono tornato in Italia e al termine di quell’anno ho perso completamente la vista all’occhio sinistro, per poi diventare cieco assoluto nel 2002. Da allora ho dovuto attuare un processo di adattamento che è ripartito dalle azioni basilari come mangiare o camminare. Oggi riesco a gestirmi la vita quasi autonomamente, ma so di poter contare sempre sul sostegno di mia moglie Tania, di mia figlia Penelope e, ovviamente, di Quasar».
Daniele è socio volontario della cooperativa La Macina Terre Alte, che gestisce il rifugio ormai dormiente. Solo una volpe, come d’abitudine, gironzola tranquilla nei pressi del cortile. «Il mio ruolo è quello di seguire le prenotazioni e offrire informazioni per quasi tutte le attività che svolge la cooperativa, dai trekking alle uscite fluviali in canoa, fino alle escursioni in mountain bike o con le ciaspole d’inverno. Sono socio volontario da circa 17 anni. Inizialmente mi recavo in sede per riadattarmi alla società, poi ho ricoperto il ruolo di centralinista e man mano che passava il tempo ho imparato a utilizzare sempre meglio il pc e altre apparecchiature informatiche. Sono grato per la possibilità che mi è stata data e lo dimostro gestendo in maniera libera e autonoma la segreteria». Il grido stridulo di una civetta prorompe dall’esterno, tremano lievi le lucine del borgo di sotto.
Il sentiero “Una foresta per tutti… i sensi”, si trova a mezz’ora di cammino dal rifugio Casanova, nei pressi del ristorante Il Capanno. Ideato e considerato un percorso a elevata accessibilità, ha come filo conduttore l’evoluzione del rapporto tra uomo e foresta nel corso dei secoli. Nel 2002 si è realizzato il primo di questi sentieri inclusivi a Campigna di Santa Sofia, sul noto Viale del Granduca, nel versante romagnolo del Parco delle Foreste Casentinesi, mentre nel 2004 è stata la volta di arricchire l’altro versante. Entrambi i percorsi, realizzati in collaborazione con il corpo forestale dello Stato, sono dotati di postazioni destinate a tutti i visitatori e adattate ai diversi bisogni, per quanto riguarda le altezze, la raggiungibilità degli elementi e la lettura dei pannelli. Frecce guida, cartellini in Braille e ispessimenti ai piedi della staccionata avvertono i non vedenti della presenza dei leggii. Percorrendo il sentiero incastonato tra faggi, aceri montani e abeti bianchi, leggo ad alta voce: per godere di tutto questo la vista non è il senso più importante. Invitiamo a chiudere gli occhi per soffermarsi, toccare, ascoltare. Tronchi, cortecce, paesaggi, tracce, suoni, rocce, sono tutti piccoli indizi indispensabili per scoprire la ricchezza di questi luoghi, per esplorare in maniera diversa il parco e la natura.
«Pensi che una passeggiata come questa possa portare reali benefici?», domando a Daniele, aggrappato alla mia spalla, impegnato a non incespicare in qualche rigogliosa radice. «Credo, purtroppo, che molti di questi percorsi non servano a niente. Mi piacerebbe sapere quanti ciechi, effettivamente, ne hanno usufruito. Considera che con tutti gli apparecchi tecnologici inventati il Braille ha perso valore, andrà gradualmente a scomparire. Scommetto che tanti della generazione 18-30 anni non lo conoscono; non sanno rapportarsi a una tipologia di lettura macchinosa. Oggi è tutto più dinamico, traducibile, rapido. A mio parere i sentieri possono dirsi inclusivi quando sono battuti autonomamente anche dai disabili. Un bel modo di fare turismo sostenibile e inclusivo, per esempio, è quello messo in campo da Appennino Slow e Noisy Vision onlus con “In montagna siamo tutti uguali”, dove persone cieche, accompagnate da vedenti, percorrono il cammino di San Francesco o di San Vicinio, fanno escursioni o viaggi a piedi. L’augurio migliore che posso fare a tutti è che la disabilità sia considerata un valore aggiunto, non una mancanza. Al mondo ogni essere vivente ha qualcosa da trasmettere o da dare per migliorare il prossimo, basta trovare un punto di comunicazione e interazione. Il mio impatto sociale è nella quotidianità: incontrando persone, facendole riflettere, camminando con loro, superiamo il timore. Alcune persone sono disponibili a cambiare punto di vista, altre spaventate. Occorre accompagnare il prossimo».
Perdiamo la bussola nel verde smeraldo delle piante, rincasando nell’attimo sfuggente del tramonto. C’è tempo per un ultimo insegnamento, ascoltando Daniele condividere intime suggestioni. «Il bosco rimane un luogo magico dove mi sento a mio agio, anche se mi è difficile percorrerlo per via delle sconnessioni. Malgrado ciò, trovo una connessione interiore che mi porta a un benessere mentale e fisico notevole. Posso percepire il bosco pur non vedendolo, e non solo tramite i profumi ma anche col corpo stesso, sentendo le vibrazioni degli alberi. Chiunque può percepire la vicinanza di un albero la notte, meglio se bendato: bene, prova a immaginare di avere questo senso acutizzato dal continuo utilizzo. È meraviglioso. Nel bosco non ho paura di muovermi anche se sono consapevole dei pericoli. Tutte le sensazioni provate sono estremamente positive», conclude adagiandosi sulla poltrona girevole, pronto a spulciare e-mail, contatti telefonici, ricordi.
(L’articolo è tratto dal numero di gennaio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)
Matthias Canapini