Rimettere insieme i pezzi. Le opere realizzate dallo scultore Marco Martalar con i resti degli alberi schiantati dalla tempesta Vaia

Se prima le sue creazioni nascevano per sottrazione – ossia scavando un tronco – ora la sua opera prende forma rimettendo insieme i pezzi

Rimettere insieme i pezzi. Le opere realizzate dallo scultore Marco Martalar con i resti degli alberi schiantati dalla tempesta Vaia

Nella notte del 30 ottobre c’era una luce speciale tra le case di Gallio, comune dell’Altopiano di Asiago, che con i suoi 1.093 metri di altitudine è il più alto centro abitato della provincia di Vicenza. A cinque anni dalla notte che ha cambiato il volto delle Dolomiti, i riflettori sono stati puntati su un gallo e un leone. Due opere simbolo di forza e di rinascita, il Gallo di Vaia e il Leone Alato, realizzati dallo scultore Marco Martalar con i resti degli alberi schiantati dalla tempesta Vaia.

Alla fine di ottobre 2018 temporali e venti impetuosi stravolsero il paesaggio in Veneto, Trentino-Alto Adige e in Friuli-Venezia Giulia. Venti di scirocco a oltre 200 chilometri orari hanno abbattuto circa 14 milioni di alberi, pari a circa 8,5 milioni di metri cubi di legname. La tempesta Vaia scatenò la sua furia su una superficie di 41mila ettari di boschi. In questi cinque anni la maggior parte di quegli alberi è stata raccolta, tagliata, rimossa dai pendii denudati e scarnificati ed infine venduta.

Vaia ha sradicato soprattutto abeti rossi, che hanno radici superficiali. Molti abeti bianchi e larici sono riusciti a resistere alla furia della tempesta, ma sono stati irrimediabilmente danneggiati. Alla tempesta è seguito un altro problema che le regioni investite da Vaia stanno affrontando ancora oggi. La tempesta, infatti, ha contribuito in maniera determinante all’infestazione di bostrico, un piccolo coleottero di circa mezzo centimetro, che scava intricate gallerie sotto la corteccia degli alberi, interrompendo così il flusso della linfa e causando in poco tempo la morte della pianta. E così, agli alberi abbattuti da Vaia, si sono aggiunti in questi anni anche quelli distrutti dal bostrico.

“Sono un uomo dei boschi, dopo Vaia mi sono ritrovato a camminare tra le mie montagne e a incontrare ad ogni passo alberi divelti, radici scoperte. Presto lo sconforto si è trasformato in ispirazione: volevo curare la ferita della natura trasformandola in un’opera d’arte che ne conservasse la memoria, ma che desse anche un segno di speranza e rinascita”. Così Marco Martalar, scultore 52enne di Mezzaselva Di Roana (Vicenza), racconta come è iniziato il percorso artistico che, dagli alberi schiantati da Vaia, ha visto uscire giganteschi animali fantastici (e non solo).

Se prima le sue creazioni nascevano per sottrazione – ossia scavando un tronco – ora la sua opera prende forma rimettendo insieme i pezzi. La tecnica è quella dell’”assemblage”. “Una volta progettato un corpo di sostegno, generalmente in legno o metallo, che ricalca una sorta di ‘scheletro interno’ – spiega l’artista – si passa quindi ad un’attenta e meticolosa fase di raccolta di radici, cortecce e rami, prettamente di larice, faggio e abete”. La successiva fase di assemblaggio esprime l’incontro tra la visione artistica di Martaler e le forme della natura che vanno a costituire la ‘pelle esterna’ delle opere e si agganciano al corpo sottostante con l’applicazione di diverse centinaia di viti”. “Mi sentivo limitato dalle dimensioni del tronco, dal quale non potevo che togliere materiale senza la possibilità di proiettarmi nello spazio. Con questa nuova tecnica – spiega Martaler – invece di ‘togliere’ ho provato ad ‘aggiungere’. Mi piace l’idea di posizionare delle belle opere in posti altrettanto belli, per valorizzare entrambi gli aspetti a vicenda”.

L’archetipo del ciclo scultoreo Vaia è il Leone Alato (2020), che “evoca la potenza dell’urlo del bosco” colpito da Vaia ed esprime la resilienza della natura e delle sue forme. Alto 3 metri e lungo 5, nasce dall’unione di 1.500 pezzi, per un peso complessivo di 350 chili. È una scultura itinerante, che dall’Altopiano di Asiago è arrivata alla Mostra di Venezia (dove ha ricevuto un premio), al Mart di Rovereto e al momento si trova di fronte al municipio di Gallio, accanto al Gallo, realizzato dal 25 al 31 luglio 2021 in un negozio del paese (sponsor del progetto), sotto gli occhi di paesani e turisti, che hanno potuto assistere a tutte le fasi della creazione. Simbolo di forza e rinascita, la scultura – voluta dall’amministrazione comunale – è alta 3 metri e lunga 3, per un peso totale di 3 quintali. Sempre nel 2021 Martalar ha realizzato con 400 pezzi di scarti boschivi di abete rosso e sfridi di faggio il Cervo, che col suo palco si staglia tra le montagne del Trentino, a 1.400 metri di quota, a Malga Millegrobbe sull’Alpe Cimbra. Nel 2022 Martalar ha realizzato la Lupa del Lagorai (2.000 pezzi), che con i suoi 6 metri di altezza e 3,70 metri di lunghezza leva il suo ululato da Vetiolo, frazione di Levico Terme in Valsugana (Trento). Sempre del 2022 è il Basalisc di Cevo (2000 pezzi, altezza 5 metri, lunghezza 9), un mostro leggendario dalle fattezze di drago, di serpente e con un’enorme testa di capra dotata di lunghe corna. Con 300 pezzi di scarti boschivi di abete rosso e faggio, lo scorso anno Martalar ha realizzato anche l’Ape Vaia, opera pubblica visitabile lungo la ciclabile della Valle del Chiampo a San Pietro Mussolino (Vicenza).

Le ultime due opere, in ordine di tempo, create dai resti della tempesta Vaia sono l’Aquila di Marcesina (1.800 viti, 100 metri di tavole e murali in larice coperti con 1.500 pezzi di radici e altro materiale di scarto), che con i suoi 7 metri di altezza e 5 di lunghezza è la più grande aquila in legno d’Europa e il Grifone Vaia del Tesino.

“Più di 2 mesi di lavoro – scrive Martalar su Ig – 30 quintali, 2.000 pezzi e radici della tempesta Vaia, il Grifone con i suoi 6 metri di latezza e 9 di lunghezza domina come un guardiano sulla magnifica e panoramica località Celado, dove si può vedere tutto l’altopiano del Tesino. Posto al confine tra Trentino e Veneto, la figura mitologica del Grifone vuole rappresentare la fusione tra le due regioni, infatti è fatto per mezzo Leone e per mezzo Aquila, due simboli fusi in uno”.

Ma c’è un’altra opera di Martalar che racconta la rinascita dalla tempesta Vaia: il Drago di Magré, 6 metri di altezza e 7 di lunghezza. Erede di un’antica leggenda cimbra, rammenta all’uomo il rapporto con l’ineffabilità della natura. Quando era stato inaugurato, nel 2021, Martalar aveva spiegato che “il legno utilizzato non è stato trattato e nel corso del tempo, a causa degli agenti atmosferici, sarà destinato a sparire”. Nella notte di martedì 22 agosto un incendio doloso ha ridotto il Drago Vaia in cenere. “Non passa giorno – scrive Martalar il 18 ottobre su Ig – che mi venga chiesto, il Drago lo rifai, vero? Io rispondo che il Drago Vaia non ci sarà più, non riuscirei mai a rifarlo, non si può, non ne sono capace e non sarebbe nemmeno giusto. Ma vi dico che qualcosa arriverà, qualcuno di altrettanto unico. L’arte non si può fermare, come i draghi non si possono uccidere col fuoco. È da molto che dormo poco, la mia mente sta già costruendo, ci vuole tempo, il tempo che serve”.

E in mezzo alle ceneri del Drago è spuntato un grande uovo di legno.

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Fonte: Sir