“Restate a casa”, ma loro vivono in accoglienza: “Magari l'avessimo"
Reportage dalla foresteria Pertini di Firenze, che accoglie gli emarginati della città, come Nassin, egiziano, avanti e indietro tra i corridoi della struttura
Nassin indossa un lungo cappotto grigio e un cappello nero. Ha gli occhi spenti e un po’ rabbiosi. Porta in mano una busta della spesa vuota. Cammina avanti e indietro dentro la Foresteria Pertini, che accoglie a Firenze un centinaio di persone per l’accoglienza invernale.
Restate a casa, dicono tutti. Ci mettono anche l’hashtag, così diventa virale.
Ma c’è qualcuno che, però, neppure sa cosa sia l’hashtag. E soprattutto, neppure ce l’ha una casa dentro cui abitare. Qualcuno come Nassin, oppure come Abdul, marocchino. Anche lui barricato qua dentro, nel cuore di Sorgane, periferie di Firenze, in questo palazzo gestito dalla Caritas. Anche per lui, le giornate sono vuoti da riempire. “Prima uscivo, andavo in centro, andavo a cercare lavoro, facevo qualche lavoretto per tirare a campare, adesso più niente, non sono indispensabile e devo restare qui”. Allora ha chiesto agli operatori se poteva rendersi utile spazzando, lavando. E così ha fatto: “Almeno sento di servire a qualcosa”. Vorrebbe andare a comprare le sigarette per fumarle in giardino, ma non ha soldi ed è inutile mettersi in coda al tabaccaio. Dorme in una stanza con altri tre marocchini, in letti rigorosamente a castello. Stanze da quattro e stanze da 6, senza televisione, la convivenza è difficile, soprattutto tra etnie diverse.
C’è chi dorme tutto il giorno, così il tempo passa nel sonno. E c’è chi invece mostra più ottimismo: “Stare qui è sempre meglio che vivere per strada”. Qualcuno di loro, viveva proprio sotto i ponti, fino a poche settimana fa.
Dalle stanze si sente musica sparata dai telefonini. E’ uno dei passatempi principali. Le ore vengono colmate dalle note rap. Il telefono è lo strumento per evadere, almeno con la mente. “In Marocco ho due figli – dice un altro ospite della Foresteria Pertini – Li sento almeno due volte al giorno, ci salutiamo in video collegamento, sono i momenti più belli della giornata”.
La quotidianità nel centro d’accoglienza è completamente stravolta. Non si mangia più tutti insieme, ma scaglionati a turni di venti. Per terra ci sono nastri bianchi e rossi che delimitano gli ingressi, così da tenere a distanza debita le persone. Non ci sono mascherine per gli ospiti, il metro di distanza non viene rispettato. Qualche volte gli animi si surriscaldano, nascono focolai di risse, poi torna la calma. “Dateci almeno un mazzo di carte, sennò impazziamo” dice un ospite. L’operatore entra al desk della segreteria e tira fuori un mazzo di carte nuovo di zecca. “Grazie, adesso diamoci dentro con scala 40”. E la partita ha inizio. Qualche minuto, prima di tornare all’immobilismo in cui, qui a Sorgane, trascorrono le giornate.
Jacopo Storni