Prima che sia tardi. Nuove scoperte per la previsione delle eruzioni vulcaniche
Da anni gli studiosi lavorano per mettere a punto modelli in grado di prevedere l'attività dei vulcani.
Ogni giorno, la “natura”, intesa come ambiente vitale in cui svolgiamo le nostre attività quotidiane, non smette di stupirci e coccolarci con le sue meraviglie, nutrendo in mille modi la nostra sete di bellezza e salubrità. Altre volte, invece, la forza degli eventi naturali ci spaventa e ci minaccia, richiedendo da parte nostra prudenza, vigilanza e programmazione. Ad esempio, quando abbiamo a che fare con un vulcano in attività, come insegnano le numerose catastrofi dovute ad improvvise eruzioni che, in varie epoche, hanno segnato la storia umana. Sappiamo bene che una delle “armi difensive” più efficaci sarebbe quella di riuscire a prevedere per tempo quando si verificherà una nuova eruzione. Ma fino ad oggi, gli scienziati non possiedono strumenti in grado di poterlo stabilire con certezza. Anche se da tanti anni, infatti, gli studiosi lavorano per mettere a punto modelli in grado di prevedere l’attività dei vulcani, finora la loro capacità predittiva non va oltre l’osservazione di alcuni fenomeni tipici che normalmente accompagnano un’eruzione.
Ma adesso, forse, avremo una possibilità in più. Un team internazionale, infatti, ha condotto uno studio (da poco pubblicato su “Nature Communications”) che mette a fuoco un nuovo metodo per riuscire a prevedere un evento vulcanico, perlomeno per quanto concerne le eruzioni esplosive. Si tratta di un gruppo di scienziati dell’Università Tecnica di Monaco (Tum) che, insieme ad altri ricercatori tedeschi, francesi, inglesi e indonesiani, hanno potuto osservare come la permeabilità dello strato roccioso più esterno di un “duomo” di lava (l’edificio vulcanico che si forma sopra al cratere di un vulcano) muti nel tempo. In base alla loro ricerca, risulta infatti che, poco prima di un’eruzione, esso raggiungerebbe un grado di impermeabilità fino a quattro volte maggiore del normale, finendo così per impedire la fuoriuscita di gas dal vulcano. Quest’osservazione ha spinto il team ad ipotizzare che tale condizione geofisica rappresentasse in concreto un altro indicatore di un’imminente eruzione. Il vulcano che ha permesso di rilevare questa nuovo elemento è il Merapi, la “montagna di fuoco” dell’isola di Giava (Indonesia). Si tratta di un vulcano “a cono”, ad attività prevalentemente esplosiva, considerato fra i più pericolosi al mondo. Sulla sua parete esterna, i ricercatori hanno prelevato sei campioni di lava solidificata (uno proveniente da un’eruzione del 2006, gli altri risalgono ad un’eruzione del 1902) per studiarne la densità, la composizione minerale e il volume dei pori al loro interno. Da questa analisi è emersa una netta riduzione della permeabilità di queste rocce, verificatasi con il passare del tempo a causa di minerali di nuova formazione. Più in dettaglio, sembra che siano solfato di potassio e allume di potassio le principali sostanze responsabili del fenomeno, mediante otturazione delle microfratture e dei pori nelle rocce.
Ma per quale ragione gli scienziati ritengono che questa maggiore impermeabilità rocciosa rappresenti un campanello d’allarme di un’imminente eruzione? Lo chiarisce Albert Gilg, docente di geologia applicata alla Tum e coautore della ricerca: “Subito dopo un’eruzione, la lava è abbastanza permeabile. Questa permeabilità però decresce con il tempo e lo strato di roccia che si forma diventa impermeabile, intrappolando i gas in risalita emessi dal magma. Con il tempo la pressione esercitata da questi gas aumenta fino a far scoppiare il duomo di lava sopra il cratere, provocando così una violenta esplosione”. Dunque, la consistente riduzione della fuoriuscita di gas indicherebbe una fase di massima pressione sotto gli strati di roccia del cono vulcanico, preannunciando di conseguenza una nuova eruzione. Anche successive simulazioni svolte dal gruppo di ricerca hanno confermato questo comportamento dei vulcani.
Un vulcano a cono, com’è il Merapi – ma anche i nostri Etna, Stromboli o Vesuvio -, fra un’eruzione esplosiva e l’altra, attraversa dunque tre diversi stadi. Inizialmente, dopo una prima eruzione, quando la lava è ancora permeabile, è possibile osservare una consistente fuoriuscita di gas in una sorta di sbuffo o soffio grigio del vulcano. In una seconda fase, il “duomo” diventa impermeabile ai gas, che smettono di fuoriuscire. Infine, la pressione esercitata dai gas intrappolati diventa tale da provocare l’eruzione successiva. “Nella successione di queste fasi, quindi, – conclude Gilg – la riduzione della fuoriuscita di gas può essere considerata un buon indicatore di un’imminente eruzione”.