Prevenire vuol dire prepararsi. I programmi di preparazione preventiva di vaccini contro possibili futuri virus
Mentre continuiamo la battaglia contro la covid-19, resta un interrogativo inquietante: e se succedesse di nuovo, magari con un altro virus sconosciuto?
La pandemia da covid-19 continua, praticamente in tutto il pianeta abitato, a infliggere i suoi “morsi”, causando morti, ricoveri e altri disagi sanitari. Sicuramente, le ampie campagne di vaccinazione, nei vari Paesi, stanno contribuendo molto ad una certa attenuazione del fenomeno, o perlomeno delle sue conseguenze più gravi. Ma le imprevedibili mutazioni di questo subdolo coronavirus continuano a tenere col fiato sospeso gli operatori sanitari e le istituzioni, minacciando di vanificare gli sforzi di ricerca fin qui fatti. Quando ne usciremo del tutto? Nessuno, al momento, possiede una risposta definitiva e credibile.
E mentre continuiamo la battaglia comune contro la covid-19, l’esperienza concreta di questa difficile situazione sanitaria lascia emergere sullo sfondo un interrogativo inquietante: e se succedesse di nuovo, magari con un altro virus sconosciuto? Le probabilità statistiche non lasciano molti dubbi: non possiamo prevedere tempi e modalità, ma… succederà sicuramente! Sarà allora il caso di non farci trovare, ancora una volta, impreparati di fronte all’eventuale nuovo virus di turno. Ne è convinto, insieme a molti altri scienziati, anche il noto virologo Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Maryland, Usa); per questa ragione, Fauci si è fatto promotore di un piano per sviluppare in anticipo alcuni prototipi di vaccini contro 20 diverse famiglie di virus dal potenziale pandemico. Insomma, ancora una volta “prevenire è meglio che curare”. Certo, le difficoltà non mancano: il progetto costerebbe diversi miliardi di dollari all’anno e, con ogni probabilità, impiegherebbe almeno cinque anni per dare i primi risultati scientifici concreti. Ma di sicuro, nel caso un altro virus letale si decidesse al salto di specie (il cosiddetto “spillover”), infettando gli umani, permetterebbe di contenere i danni più in fretta, salvando così molte più vite umane.
Dall’esperienza si può imparare molto. Il percorso per arrivare a un vaccino contro il SARS-CoV-2, ad esempio, è stato facilitato dai nostri incontri pregressi con i coronavirus di SARS e MERS. Queste passate epidemie, infatti, ci hanno insegnato che i coronavirus usano la proteina “spike” per infettare le cellule dell’ospite, come pure che la spike, soggetta a rapidi cambiamenti di forma, va “tenuta in posizione” per poter essere presa di mira da un vaccino. Così, nel momento in cui l’emergenza covid è emersa in tutta la sua portata, questo bagaglio di conoscenze pregresse ha consentito ai ricercatori di arrivare ai primi vaccini anti-covid in meno di un anno!
Ma cosa sarebbe accaduto però se a scatenare la pandemia fosse stato ad esempio il virus Lassa (che causa febbre emorragica ed è endemico dell’Africa occidentale)? Oppure, un nuovo ceppo di Ebola? O, ancora, il virus Nipah (diffuso dai pipistrelli della frutta)? Di sicuro, in questi casi, la strada verso i vaccini non sarebbe stata altrettanto facile. Non a caso, è lungo l’elenco dei vaccini “mai arrivati”, nonostante gli incessanti sforzi della ricerca: l’influenza H1N1 nel 2009, l’infezione da virus Chikungunya nel 2012, MERS nel 2013, Ebola nel 2014, Zika nel 2016. In realtà, ciascuna di queste minacce sanitarie si è “spenta” prima che fossimo in grado di immunizzare il mondo.
Alla luce di questa realtà, Fauci ritiene che questo sia il momento perfetto per scoprire la struttura molecolare dei virus potenzialmente più pericolosi, capire in che punti colpirli con gli anticorpi e “convincere” il corpo umano a produrre quegli anticorpi. Oggi, infatti, possiamo sfruttare la spinta alla ricerca indotta dalla covid-19, grazie ai progressi scientifici degli ultimi dieci anni, che ci hanno consegnato strumenti più precisi per osservare la struttura molecolare dei virus, isolare gli anticorpi e capire dove si legano. Con questi mezzi, siamo certamente in grado di produrre vaccini più efficaci.
In concreto, l’istituto diretto da Fauci ha già creato un identikit di ciascuna delle 20 famiglie di virus più pericolose, evidenziandone i rispettivi “talloni d’Achille” e le informazioni scientifiche attualmente disponibili (a livello internazionale, non è ancora stato redatto un elenco completo dei virus pericolosi). Per alcuni di questi virus (come Zika e Chikungunya), la ricerca di vaccini è già avanti; per altri (ad es. Lassa e Nipah) c’è ancora molta strada da fare.
In realtà, l’idea di approntare dei prototipi di vaccini “pronti al bisogno” era già stata proposta qualche anno fa (2017) da Barney Graham, vicedirettore del Vaccine Research Center del National Institute of Allergy and Infectious Disease; l’emergenza della pandemia in corso l’ha sicuramente rilanciata all’attenzione della comunità scientifica e delle autorità sanitarie, quasi come una forma di “assicurazione” sulla salute pubblica. Meglio, dunque, pensarci per tempo, investendo ora risorse ed energie per non trovarci in difficoltà al momento del bisogno.