Nuove terapie contro il cancro. L’immunoterapia si allea con Crispr
Una recente ricerca (pubblicata su "Science") apre una pista terapeutica nuova, combinando per la prima volta in modo rigoroso due approcci, entrambi molto promettenti.
Nella lotta contro il cancro, gli scienziati non lesinano di certo sforzi e nuovi tentativi. Tra gli approcci più promettenti, l’immunoterapia che, adesso, prova anche a fare un salto di qualità, “alleandosi” con la ormai nota tecnica di ingegneria genetica di ultima generazione: la Crispr. Una recente ricerca (pubblicata su “Science”) apre infatti una pista terapeutica nuova, combinando per la prima volta in modo rigoroso due approcci, entrambi molto promettenti: a) la terapia cellulare basata sui linfociti T, già impiegata con successo per alcuni tipi di leucemie e di linfomi; b) l’editing genomico, che con il perfezionamento della tecnica Crispr costituisce ormai la principale modalità per le modifiche genetiche. Unendoli, gli studiosi sperano di potenziare ancor più e meglio le capacità del sistema immunitario di combattere i tumori.
In che modo? L’ipotesi sperimentale consisterebbe nel prelevare le cellule T dal sangue dei pazienti, “silenziarne” con l’aiuto di Crispr i geni che frenano la risposta immunitaria, dotarle con l’aiuto di un vettore virale di un sistema di riconoscimento specifico per le cellule tumorali e, infine, re-infonderle nei pazienti stessi, come “soldati ben equipaggiati e pronti a combattere”! Funzionerà? Non si sa ancora, l’efficacia di questo approccio combinato è tutto da dimostrare e la ricerca in questione, condotta da un team dell’Università della Pennsylvania, rappresenta soltanto la prima fase della sperimentazione, il cui obiettivo dichiarato era esclusivamente quello di dimostrare che il trattamento è sicuro e fattibile. Obiettivo raggiunto, alla luce dei dati ottenuti.
Il gruppo di ricerca è stato guidato da Carl June, noto specialista della ricerca sul cancro, pioniere dell’immunoterapia a base di cellule Car-T (la sigla Car indica che nelle cellule T è stato inserito un recettore chimerico per l’antigene), famoso anche per uno dei primi esperimenti di editing per sbarrare la strada al virus Hiv.
Se il nuovo capitolo appena aperto dal gruppo americano dovesse portare un giorno ai risultati sperati, bisognerà dire grazie ai pazienti che hanno preso parte al test di fase uno pur non potendone beneficiare in prima persona.
Questa prima fase sperimentale – come di norma quando si tratta di sperimentare terapie innovative e, dunque, rischiose – è stata condotta su persone malate di tumore in stadio avanzato, che non avevano risposto bene ai trattamenti convenzionali (come chirurgia e radioterapia). I soggetti sono stati selezionati sulla base delle loro caratteristiche genetiche e di quelle dei loro tumori, essendo necessario possedere il giusto identikit molecolare per mettere alla prova la strategia. Ne sono stati scelti quattro, ma una di loro è peggiorata ed è morta prima di poter ricevere il trattamento. I dati pubblicati, dunque, sono relativi a tre individui soltanto, due donne e un uomo, tutti sopra i 60 anni (ad oggi, in realtà, sono rimasti in vita solamente due pazienti, entrambi sottoposti ad altre terapie). Bilancio deludente? Non per gli autori del lavoro che, al contrario, lo considerano un buon inizio e i primi commenti della comunità scientifica vanno nella stessa direzione. Il fatto è che “armare” le cellule immunitarie contro i tumori, come si fa con l’approccio Car-T, non basta a salvare tutti i pazienti e finora ha funzionato solo per pochi tipi di tumori. L’impiego della Crispr però potrebbe aiutare a superare queste limitazioni, rendendo l’approccio più potente e duraturo. Vero è che, pur essendo una tecnica precisa e versatile, la Crispr è ancora poco rodata nell’uomo e potrebbe comportare dei rischi. Va ad esempio ricordato che il suo ingrediente principale è un enzima di origine batterica, che potrebbe indurre una reazione immunitaria indesiderata. Oppure, che le sue forbici molecolari potrebbero tagliare il Dna in punti non programmati, causando altri danni.
Ma i dati attestano che, nella sperimentazione diretta da Carl June insieme a Edward A. Stadtmauer, in cui sono stati editati tre geni (tra cui il PD-1), non è stato rilevato alcun effetto tossico e pochissimi tagli fuori bersaglio. Inoltre, i linfociti T con il Dna corretto sono rimasti numerosi nel corpo dei pazienti, anche a distanza di mesi dalla somministrazione.
Questa sperimentazione aveva atteso per anni il via libera delle autorità statunitensi, mentre la Cina nel frattempo ha autorizzato rapidamente altre ricerche simili (di cui purtroppo si sa ancora molto poco). Ovviamente, data la delicatezza di tali interventi, è d’obbligo mantenere un atteggiamento di grande prudenza, anche a scapito del tempo necessario. Nei prossimi passaggi, probabilmente i ricercatori metteranno alla prova la stessa strategia cercando di colpire altri bersagli sulle cellule tumorali e utilizzando le versioni più efficienti di Crispr sviluppate via via nel corso del tempo. Da parte nostra, non resta che rinnovare l’auspicio di un pieno successo, nel minor tempo possibile.