Mamma caregiver perde la causa: dopo 26 anni di processo, condannata a pagare 276 mila euro
Accade a Elena Improta, mamma di Mario, 32 anni, gravemente disabile. Nel 1996 aveva fatto causa, chiedendo il risarcimento per i danni subiti dal figlio al momento del parto. La sentenza della corte d'appello pochi giorni fa: causa respinta e condanna a pagare le spese processuali. Lettera a Mattarella, Draghi e Cartabia
“Sono Elena, mamma di un giovane uomo di 32 anni affetto da una gravissima disabilità, oltraggiato dall’esito ad oggi di una causa civile di risarcimento per i danni subiti al parto, iniziata nell’aprile 1996 presso il Tribunale di Roma”. Si presenta così, Elena Improta, caregiver e fondatrice della onlus Oltre Lo sguardo, nella lettera inviata due giorni fa al presidente della Repubblica Mattarella. Una lettera piena di dolore, di sdegno, di umiliazione per la sentenza della Corte d'Appello, che non solo le dà torto, ma la condanna al pagamento delle spese processuali. E un processo durato 26 anni costa caro: per l'esattezza, 276 mila euro. Una spesa smisurata e insostenibile, soprattutto quando si sa che Elena Improta ha investito tutte le sue risorse nell'assicurare un "Dopo di lei" a suo figlio e ad altri ragazzi come lui, trasferendosi da Roma a Orbetello, per fondare e gestire qui un cohousing ritagliato sulle necessità e sul diritto al futuro di queste persone.
“Il diritto di Mario ad un giusto processo è stato innanzitutto violato e calpestato da 26 anni di causa – continua Improta nella lettera - devastanti da un punto di vista emotivo, psicologico ed economico, durante i quali ho sempre mantenuto fiducia nella Giustizia e nell’Ordinamento Giudiziario. Oggi, per la prima volta in questi 26 anni di silenziosa e fiduciosa sofferenza, alla vigilia del mio 59mo compleanno, sono costretta a dare voce al mio sgomento ed incredulità davanti all’esito incomprensibile della causa in sede di rinvio”. Ricorda, sinteticamente, le diverse tappe di questo lunghissimo processo: nel 2017, “dopo un primo grado e un appello la domanda di risarcimento per difetto di prova del nesso causale, una sentenza del 2017 della Corte di Cassazione riconosceva che doveva ritenersi provata l’esistenza di nesso causale tra la condotta omissiva dei medici e la patologia subita dal paziente”. Oggi, a distanza di cinque anni da quella sentenza e di 26 dall'inizio dell'iter processuale, “la Corte di Appello ribalta le conclusioni della Corte di Cassazione, respinge il risarcimento e condanna me e Mario al pagamento delle spese per un importo talmente spropositato da apparire punitivo e dissuasivo. Quasi 300 mila euro. Non posso credere che questa sia Giustizia! - commenta Improta - Mi appello a voi, presidente Mattarella. presidente Draghi, ministro Cartabia. Ho speso la mia esistenza a tutelare i diritti di Mario e non solo. Ora sono molto provata e stanca, sono traumatizzata da questo evento che mi toglie energia per poter prendermi ancora cura di Mario, sono spaventata e morta dentro”.
Ora Improta farà nuovamente ricorso in Cassazione, “sperando di averne la forza fisica e mentale continuerò a fare sacrifici e privazioni. Ma resta l’umiliazione di una madre e di un figlio, restano pochi anni davanti a noi e spenderli con questa prospettiva mi annienta. La magistratura non può permettere tutto questo dopo 26 anni! Come ridurre i tempi della giustizia civile? Come velocizzare questi procedimenti?”.
Conclude amaramente Improta: “I medici in sala parto hanno tolto a Mario l’opportunità di essere una persona neurotipica, i giudici gli stanno togliendo l’opportunità di vivere dignitosamente da persona con disabilità, peraltro da sempre generosa e pronta ad aiutare altre persone con disabilità… lo abbiamo ampiamente dimostrato negli ultimi 16 anni".
La lettera è firmata: “Io e Mario due volte oltraggiati: abbiate compassione per questa nostra lettera”.
Chiara Ludovisi