Lo sviluppo dei vaccini nei Paesi poveri
Ciò che può giovare di più alla fruizione di massa di questi importanti strumenti di salute è una sana e completa informazione sul prodotto.
I vaccini – prezioso ed indispensabile presidio sanitario a disposizione della medicina – costituiscono ancora oggi tema di confronto e “discordia”, talora persino con toni accesi e inutilmente faziosi. Certamente, ciò che può giovare di più alla fruizione di massa di questi importanti strumenti di salute è una sana e completa informazione sul prodotto in sé e sui processi di sviluppo, produzione e diffusione di esso.
Alcune domande semplici e dirette sui vaccini, infatti, talvolta attraversano la nostra mente senza trovare adeguata risposta, ingenerando così dubbi e sospetti nocivi ad un sano approccio al loro uso.
Consideriamo, ad esempio, quanto avviene di norma nei paesi a medio e basso reddito, luoghi dove si verificano ancora forti epidemie, rendendo quindi necessario investire nella ricerca di nuovi vaccini. Per questi territori, perché si decide di sviluppare un vaccino piuttosto che un altro? Oppure, quanto tempo passa prima che un vaccino sia pronto per essere immesso sul mercato? Su questi e altri interrogativi getta luce una recente intervista (al periodico Focus) di Martin Friede, coordinatore della Initiative for Vaccine Research (Ivr) della Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).
“La prima domanda da porsi – spiega Friede – è : se produciamo un vaccino, la gente lo userà?”. Quindi, occorre anzitutto calcolare l’incidenza della malattia per la quale si vuole creare un vaccino, e – dato non secondario – sapere in anticipo quanti risorse economiche dedicate i governi interessati sono disposti ad investire. “È fondamentale – insiste il responsabile Ivr – chiarire subito con le aziende produttrici quanto un governo è disposto a pagare per ogni dose. Non si può ordinare un vaccino e poi, una volta sviluppato, dire all’azienda che ci si aspettava di pagare pochi centesimi a dose”. Un altro settore d’azione riguarda la decisione di concentrare la ricerca su dei vaccini già in commercio per migliorarli; spesso però, in questi casi, possono subentrare problemi etici. “Prendiamo il caso del morbillo – continua Friede -. Il vaccino esiste già, e funziona bene. Potremmo migliorarlo, certo, ma non è etico esporre delle persone a dei rischi, quando esiste già un vaccino funzionante”.
Deciso quale vaccino sviluppare, si passa dunque alla fase di ricerca e sviluppo vera e propria, articolata in diversi stadi. Il primo passo consiste nell’identificazione dell’antigene (genericamente, una sostanza che, introdotta nel sangue o nei tessuti, provoca la formazione di anticorpi antagonisti) che dovrà indurre la risposta immunitaria: esso rappresenta la “base” del nuovo vaccino.
Ottenuto questo preparato, inizia la fase di sperimentazione preclinica, dedicata alla valutazione di efficacia, qualità e sicurezza del vaccino; essa viene sviluppata mediante studi “in vitro” (in provetta) e “in vivo” (su esseri viventi non umani). Se i risultati ottenuti sono positivi, si passa finalmente agli studi clinici (sull’uomo): inizialmente il vaccino viene testato su poche persone (alcune decine), poi su un numero sempre maggiore di volontari. Infine, il vaccino viene sottoposto alla pre-approvazione della Oms, ottenuta la quale è pronto per essere registrato dalle autorità nazionali competenti (l’Aifa, Agenzia Italiana del Farmaco, per l’Italia; la Ema, European Medicines Agency, a livello europeo, la Fda, Food and Drug Administration, per gli Usa). Il nuovo vaccino registrato è adesso pronto per essere immesso sul mercato. Un lungo processo che richiede tempo e denaro: “Quello a cui spesso non si pensa – commenta Friede – è che dall’identificazione dell’antigene alla messa in commercio possono passare decenni. Senza contare l’impatto economico: un vaccino può arrivare a costare diversi milioni di dollari”. Ovviamente, vaccini diversi hanno costi e tempi di produzione diversi. Un esempio: per avere il MenAfriVac (il vaccino contro la meningite pensato per l’Africa subsahariana e immesso sul mercato nel 2010) ci sono voluti meno di dieci anni e meno di 50 milioni di dollari. In estrema sintesi, questo il suo percorso: la ricerca prende avvio dopo l’epidemia del 1996, che ha causato 25mila morti! Nel 2000, Path e Oms fondano il Meningitis Vaccine Project, finanziato l’anno successivo dalla Bill & Melinda Gates Foundation. Nel 2002, la Serum Institute of India (una delle principali aziende produttrici di vaccini a livello mondiale) decide di produrre il vaccino per l’Africa. Così, nel 2003, partono i primi studi preclinici, due anni dopo gli studi clinici e cinque anni dopo, nel dicembre del 2010, iniziano le vaccinazioni in Burkina Faso, Mali e Niger.
Rimane, poi, un’altra questione aperta: come si decide se un vaccino “è realmente “valido” oppure no? Bastano i dati medici per trovare risposta? La questione, in verità, è più “soggettiva” di quanto si possa pensare. “Prendiamo – conclude Friede – il nuovo vaccino contro la malaria: gli stessi dati sull’efficacia del nuovo vaccino (circa il 30% contro casi gravi) vengono accolti con positività dai media africani, mentre vengono descritti come ‘deludenti’ dai media statunitensi”. Infatti, vista l’emergenza (445mila morti nel 2016), per l’Africa subsahariana la possibilità di raggiungere un’immunità di gregge, seppur minima, è già una buona notizia. Per gli Stati Uniti, invece, il 30% è percepito ancora come un risultato insoddisfacente. A conferma del fatto che la scienza “oggettiva” offre dati e strumenti, le decisioni di rilevanza etica invece spettano sempre alla responsabilità umana.