Le ultime scoperte sulla catastrofe che ha portato all'estinzione dei dinosauri
Circa 66 milioni di anni fa, nel passaggio tra l'era geologica del Cretaceo e quella del Paleogene, un enorme asteroide si abbatte sulla Terra
La comunità scientifica ormai concorda sui tratti essenziali dell’evento catastrofico ipotizzato per la prima volta, nel 1979, dal fisico statunitense Luis Álvarez e da suo figlio Walter. Il dramma accade circa 66 milioni di anni fa, nel passaggio tra l’era geologica del Cretaceo e quella del Paleogene: un enorme asteroide, con un diametro di circa 12 km, si abbatte sulla Terra alla velocità di circa 64.000 km/h, in corrispondenza dell’area oggi occupata dal paese di Chicxulub, nella penisola dello Yucatan (Messico). Il risultato è devastante: un’esplosione della potenza approssimativa di 190.000 gigatoni (pari a 190.000 miliardi di tonnellate di tritolo!), che provoca immediatamente la formazione di un cratere con un diametro di circa 180 km e una profondità di quasi 1,5 km, e subito dopo l’inizio di una catena di eventi sismici (tra cui uno tsunami con onde alte 1,5 km, che viaggiano a 140 km/h!), atmosferici e climatici che porterà… all’estinzione dei dinosauri!
Oggi, anche grazie al ritrovamento nello stato del North Dakota (Usa) di un eccezionale deposito fossilifero, è possibile ricostruire, con una straordinaria risoluzione temporale, quegli eventi catastrofici verificatisi nei minuti successivi all’impatto dell’enorme asteroide con la Terra. Il deposito, situato a Tanis, nella Hell Creek Formation (nei pressi della cittadina di Bowman), fu scoperto nel 2013 da un gruppo di ricercatori coordinati da Robert A. De Palma, dell’Università del Kansas, e Jan Smit, della Vrije Universiteit di Amsterdam. Esso rappresenta un vero e proprio cimitero fossile di massa, i cui dettagli sono stati analizzati (con la collaborazione dello stesso Walter Alvarez) e descritti dal medesimo gruppo di studiosi in un recente articolo (pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”).
Fin dalla sua scoperta il deposito era stato collegato all’evento di Chicxulub, in base alla datazione e all’enorme quantità di fossili – prevalentemente pesci, ma anche resti di un mosasauro (un rettile marino), di un triceratopo, di piccoli mammiferi e di conifere – in esso contenuti; a confermare questi dati, si aggiunge la presenza di strati di roccia contenenti elevate quantità di iridio, un elemento chimico rarissimo sulla Terra, ma che invece si trova in abbondanza negli asteroidi.
Tra i ritrovamenti caratteristici di questo giacimento fossile figura la fauna ittica, fittamente accatastata e con una singolare compresenza di pesci d’acqua dolce e di mare, tutti immersi in una matrice di fango. Questo strana composizione ha immediatamente suggerito ai ricercatori l’ipotesi che gli animali siano stati travolti da una gigantesca onda di tsunami; un’ulteriore analisi della successione degli strati di roccia e delle loro caratteristiche ha poi evidenziato come quell’onda di tsunami non sia risalita fino a Tanis dal golfo del Messico (circa 3000 km più a sud), dove si era verificato l’impatto dell’asteroide, ma si sia formata localmente, nel mare interno che all’epoca occupava la parte centrale del Nord America. Plausibilmente, essa è stata la conseguenza di un’enorme onda sismica stazionaria, legata al fenomeno di “battimento” (interferenza e sommatoria) delle onde sismiche provenienti da Chicxulub, in seguito al terremoto (che ha raggiunto magnitudo 10-11.5) provocato dall’impatto del corpo celeste.
Gli studiosi calcolano che quelle onde sismiche siano arrivate a Tanis nel giro di soli dieci minuti, provocando un’onda stazionaria dell’altezza compresa fra i 10 e i 100 metri e, di conseguenza, un muro d’acqua alto fra i 2 e i 10 metri, che si è abbattuto sulla terraferma, esponendo parte del fondale marino, come dimostra la presenza di particolari cavità a imbuto provocate dalla ricaduta delle “tectiti” (sferule di materiale vetroso proiettate in aria dalla polverizzazione dell’asteroide), che invece non avrebbero lasciato quei segni se il fondale fosse stato coperto dall’acqua. Molte di queste sferule, del resto, sono state ritrovate anche nelle branchie di moltissimi pesci fossili, evidentemente aspirate dagli animali mentre venivano travolti dalla catastrofe.