La grande estinzione. Secondo l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, su 138mila specie il 28% è avviato all'estinzione
Oggi, a causa degli effetti delle attività umane, preponderanti e diffuse per tutto il Pianeta, assistiamo ad una incredibile "accelerazione" dei processi che minacciano di portare all'estinzione molte specie animali contemporanee.
Estinzione animale: un rischio che “accelera”! Lungo la storia della vita sul nostro pianeta, i cambiamenti ambientali sempre hanno finito per determinare la scomparsa di alcune specie animali ed insieme all’insorgenza di nuove. Ma, generalmente, questi cambi hanno richiesto tempi molto lunghi (fino a milioni di anni). Oggi, invece, a causa degli effetti delle attività umane, preponderanti e diffuse per tutto il Pianeta, assistiamo ad una incredibile “accelerazione” dei processi che minacciano di portare all’estinzione molte specie animali contemporanee. E gli studiosi del settore – insieme a vari movimenti d’opinione – non cessano di far suonare il loro campanello d’allarme, mettendo in guardia la comunità mondiale e, al tempo stesso, facendo appello ai decisori politici perché agiscano concretamente supportando il contrasto di tale rischio. Ma i modi di operare possono essere evidentemente molto diversi!
Chi ha realmente a cuore l’armonia della natura e l’equilibrio ambientale, senza mirare primariamente ad altre finalità (di solito economiche), cerca di agire con rigore scientifico e nel rispetto degli ecosistemi. Per citare un esempio, dal 1964 l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (nota come Iucn) si occupa di compilare una lista di tutte le specie più o meno a rischio di estinzione, valutandone lo status e le prospettive di sopravvivenza a breve e lungo termine. Un lavoro meticoloso e approfondito, realizzato con grande qualità, tanto da far considerare la Red List dell’Iucn lo strumento più completo e affidabile attualmente a nostra disposizione per tenere sotto controllo la situazione e decidere dove e quanto intervenire per tentare di salvare piante e animali a rischio. Non stupisce, dunque, che ogni aggiornamento pubblicato dall’Iucn finisca per costituire una notizia e attirare l’attenzione degli addetti ai lavori o degli appassionati del tema. L’ultimo è di questi giorni, diffuso durante il congresso dell’Iucn tenutosi a Marsiglia, e contiene una notizia “cattiva” e una “buona”. La prima, purtroppo riguarda un’altra specie animale – molto “carismatica” e oggetto di diffusione mediatica – che va ad aggiungersi alla lista di quelle in pericolo di estinzione: si tratta del drago di Komodo, che vive su un’isola che sta diventando sempre più piccola con l’innalzamento del livello del mare (dovuto al riscaldamento globale).
Ma, purtroppo, non è la sola in questa situazione: su 138.000 specie monitorate, infatti, risulta che il 28% è avviato verso l’estinzione! Nell’ultimo aggiornamento della Lista Rossa, si evidenzia anche come due specie di squali su cinque siano a rischio di sparire a causa dell’attività umana; basti pensare che, su 1.200 specie studiate, il 37% rientra in una delle tre categorie che portano dritte verso la scomparsa (“vulnerabile”, “a rischio” e “a rischio critico”). In più, va sottolineata la preoccupante rapidità con cui cresce questo valore: appena sette anni fa, le specie di squali a rischio erano un terzo di meno.
Ma accennavamo anche alla presenza di una notizia “buona”. Per la prima volta, infatti, l’Iucn ha voluto introdurre nella sua classificazione anche il “Green Status”, una sorta di lista verde per accogliere quelle specie animali i cui numeri stanno tornando a crescere, di solito come conseguenza della nostra opera di conservazione. Ebbene, tra queste, per esempio, torna a figurare il rinoceronte di Sumatra. Quest’animale rimane ancora “a rischio critico”, ma se si riuscisse a mantenere costanti gli sforzi in atto, nel giro di un secolo il rinoceronte di Sumatra sarebbe al 50% del suo percorso per uscire dalla zona di pericolo. Un progresso lentissimo, che – con “molta” probabilità… – noi non potremo vedere né godere.
Ma chi penserebbe, del resto, di poter salvare il Pianeta in pochi giorni? Nessuno! O forse… la start-up americana “Colossal”, fondata da George Church, un docente di genetica di Harvard, e dall’imprenditore informatico Ben Lamm: si è appena assicurato un contributo di circa 15 milioni di dollari per dare il via al progetto di riportare in vita il “mammut lanoso”, un animale estintosi soltanto 5.000 anni fa, il cui Dna è a disposizione degli scienziati negli innumerevoli campioni di tessuto che si sono conservati nel ghiaccio. Ma… Jurassic Park non era una saga cinematografica?