"L'erba tinta", il racconto degli educatori di strada
Nel libro di Martina Riina l'impegno degli operatori nel quartiere popolare di Palermo, Borgo Vecchio. "Focus sulle pratiche che abbiamo sviluppato; si racconta un modo di stare nel quartiere che parte proprio da chi vive situazioni spesso di povertà e di emarginazione sociale"
Nel pieno di una crisi sociale e sanitaria causata dal Covid ha preso forma un diario etno-antropologico sul lavoro, delicato e complesso, di un gruppo di operatori ed educatori di strada al Borgo Vecchio: uno dei quartieri popolari più antichi e multiproblematici della città di Palermo. A parlare degli aspetti che emergono dal libro proponendo anche delle strade nuove per ridare luce alle persone del quartiere è l'autrice del volume, l'antropologa e pedagogista Martina Riina.
Dopo alcune esperienze internazionali svolte in Spagna ed in Marocco, nel 2016 Martina Riina entra a far parte di alcuni progetti con l’associazione "Per Esempio onlus", tramite i quali viene aperto un centro diurno per il doposcuola e altre attività che accolgono, giovani mamme, adolescenti e famiglie. Inizia così, insieme ad un gruppo di operatori, una nuova educativa di strada principalmente fondata sull'ascolto, sul dialogo, sulla valorizzazione della relazione, sulle interconnessioni con le istituzioni e la chiesa.
Partiamo dalla scelta del titolo del libro "l'erba tinta".
Il titolo ha una ragione affettiva nei confronti dei ragazzi e delle ragazze con cui ho lavorato. Questo perché c'è una sorta di gioco ironico nel definirsi "erba tinta" nel senso che è quella che non muore mai, una 'malerba' che cresce nonostante tutto, insinuandosi spontaneamente tra le crepe del cemento anche in mezzo alle macerie. In questo caso 'l'erba tinta' sono gli abitanti del quartiere che hanno continuato a trovare le strade per lottare, resistere ed andare avanti anche con gli enormi problemi causati dalla pandemia.
Cosa s'intende oggi per educativa di strada?
L'educativa di strada è un metodo, perché è sostanzialmente un modo che ti permettere di approcciare le cose, non certo per affrontare le strade ed il quartiere in maniera retorica, ma per valorizzare tutti i luoghi partecipativi, educativi, di relazione e di vita del Borgo Vecchio. Per fare ciò occorre uscire dalle aule per incontrare le persone. Bisogna dare nuovamente spazio ed attenzione a tutti gli spazi pubblici che la gente del quartiere deve ritornare pienamente a vivere.
Chi sono i protagonisti del libro?
I protagonisti siamo tutti noi in un processo di interazione dinamica sviluppato anche in chiave intergenerazionale: i giovani in primo luogo, i bambini, le famiglie, gli insegnanti e gli operatori di strada. Il focus non è tanto sul quartiere ma sulle pratiche che abbiamo sviluppato; si racconta un modo di stare nel quartiere che parte proprio da chi vive situazioni spesso di povertà e di emarginazione sociale. Non ci sono ricette di vita e di cambiamento ma tutto è basato su un lavoro molto orizzontale sul concetto di crescita e di arricchimento reciproco basato principalmente sulla valorizzazione della relazione.
Quali sono le crepe del Borgo Vecchio?
Le crepe non sono solo al Borgo Vecchio. Le crepe sono le istituzioni che sono piene di falle e di mancanze e di scorrettezze. Le crepe sono in un sistema educativo e formativo che stenta a volte a rispondere concretamente ai bisogni delle persone. Le crepe sono anche nei vissuti delle persone, nelle ferite della loro vita. E' un quartiere che vive contraddizioni molto forti e fastidiose che sono il risultato di un sistema malato.
La speranza del Borgo Vecchio da dove deve ripartire?
Intanto le istituzioni devono aprire nuovi spazi di socialità come richiesto da noi da dieci anni a questa parte, a partire dal recupero degli spazi abbandonati da lungo tempo. Durante la pandemia la gente del quartiere ha dato, una grande lezione a tutti, dando prova di grande spirito di adattamento alle situazioni problematiche e di esperienze di solidarietà reciproca. Ci vogliono presidi educativi da affiancare alle scuole, come spazi di protezione sociale, che sono fondamentali per chi vive nel territorio. Il rispetto di chi abita un quartiere deve passare dal pieno riconoscimento dei diritti. Una ferita aperta è ancora quella dell’asilo Parisi che continua ad essere chiuso dal 2012. Questa struttura, se ci fosse una volontà reale delle istituzioni, potrebbe diventare un centro polivalente oppure uno spazio per mamme e per bambini con una ludoteca e tanti altri servizi. Naturalmente, nonostante tutte le difficoltà, stiamo continuando a trovare le strade per dedicarci alle persone del quartiere che hanno tanto ancora da insegnarci e raccontarci".
Serena Termini