L’auto di Ibra. La solidarietà dei colleghi riporta il sorriso al giovane Ibrahim
La storia a lieto fine di un ragazzo maliano che ha perso l'auto nello schianto del piccolo aereo a Milano.
Un odore acre e pungente di bruciato ammorbava l’aria. Quando ha visto la sua auto distrutta dalle fiamme, è rimasto senza fiato e senza parole. Si è messo le mani tra i capelli e ha chiuso per un istante gli occhi, nella remota speranza che, una volta riaperti, la realtà sarebbe stata diversa. Ma non è stato così.
Domenica 3 ottobre, Ibrahim aveva deciso di andare con un amico in duomo a Milano. Aveva parcheggiato la sua auto in via 8 Ottobre a San Donato Milanese, e da lì poi aveva raggiunto il centro con la metro. Quando, attorno alle 14, è tornato a San Donato, della sua vecchia Opel Corsa grigia era rimasta solo la carcassa.
A lungo attesa e sognata, era riuscito ad acquistarla a dicembre scorso, dopo quattro anni di risparmi. Quell’auto gli serviva per essere più autonomo negli spostamenti, ma non solo. Gli ricordava ogni giorno che, dopo tante fatiche e sofferenze, era arrivato anche per lui il momento di dire “finalmente ce l’ho fatta”.
“Sono stato fortunato – ha subito pensato – perché sono vivo. Una macchina si può ricomprare, ma la vita è una sola”. E quel giorno, insieme alla sua auto e all’aliante a motore Pilatus PC-12 che si è schiantato contro la facciata dell’edificio in ristrutturazione all’angolo con via Marignano, di vite ne sono state distrutte otto.
A raccontare la storia di Ibrahim è stato lunedì scorso (11 ottobre) il quotidiano “Il Cittadino” di Lodi, che ha rilanciato la notizia sulla sua pagina Facebook.
Ibrahim Kamissoko è originario del Mali. Ha 27 anni, ma – se consideriamo le esperienze che ha fatto – a confronto con molti suoi coetanei europei, è come se ne avesse il doppio. O forse ancora di più. Lascia la sua terra nel 2012. Il padre è malato e lui va in cerca di lavoro prima in Algeria e poi in Libia, tentando successivamente di salire su un barcone e arrivare in Italia. Ma viene catturato e finisce in una prigione libica, dove rimane per sei mesi e dove ogni giorno, tra soprusi e violenze, ha costantemente paura di morire. Nel 2014 riesce a salire su un barcone e arriva a Crotone. La Caritas lo accoglie e lo ospita a Spino d’Adda. La prima cosa che Ibrahim fa è studiare italiano. “Perché non volevo aver bisogno di interpreti”, racconta. Prende il diploma di terza media e poi chiede di andare subito a lavorare. Solo così può garantire un aiuto concreto alla sua famiglia. Quattro anni fa viene assunto come magazziniere nel maglificio Ripa di Spino d’Adda. Preciso nel lavoro e cordiale nei rapporti interpersonali, Ibra – così lo chiamano i colleghi – conquista fin da subito la stima e l’amicizia di tutti.
Quando lunedì 4 ottobre i colleghi non lo vedono arrivare con la sua macchina, gli chiedono che cosa sia successo. Il giovane racconta dell’auto distrutta dalle fiamme e racconta il suo spavento e la sua tristezza. Ripete però anche di essere stato fortunato, perché lui – a differenza delle 8 persone che erano su quell’aliante a motore – era vivo.
Mentre parla, Ibrahim sa benissimo che dovrà attendere parecchio prima di poter avere i soldi necessari per comperare un’altra macchina. L’estate scorsa era riuscito ad acquistare il biglietto per far ritorno, dopo 11 anni, in Mali a trovare sua madre e lasciarle un po’ di risparmi. Ed ora i risparmi sono finiti.
Venerdì scorso (8 ottobre), il giovane è stato chiamato con una scusa in magazzino. Lui, puntuale e preciso come sua abitudine, non si è fatto attendere.
“Non mi sono mai sentito così emozionato in tutta la mia vita”, ha raccontato poi in un’intervista.
Ad attenderlo c’erano il titolare e tutti i dipendenti del maglificio. C’erano anche le famiglie di Spino che gli sono state vicine da quando è arrivato in Italia. E c’era anche un regalo avvolto in un grande telo bianco: una Clio di seconda mano. Tutta per lui.
L’auto è stata acquistata dal titolare del maglificio, Luca Bianco, mentre i suoi colleghi hanno raccolto i soldi necessari per pagare assicurazione e bollo. “Non abbiamo fatto nulla di speciale – ha raccontato poi Bianco – è normale aiutare chi nella vita ne ha già passate tante”.
In questi giorni il sorriso di Ibrahim è ancora più grande e solare del solito. Mai e poi mai si sarebbe aspettato un regalo tanto grande. “Un regalo gigante”.
A chi gli chiede di raccontare la sua storia, Ibrahim non nasconde quello che è il suo grande rammarico: avrebbe tanto voluto riuscire a salvare suo padre, ma non c’è riuscito. Ma ora in Italia ha trovato un futuro. “E soprattutto persone che mi vogliono davvero bene”.