Incontro alla morte con cure e dignità: “È un aiuto per le famiglie”
Secondo passo del viaggio nell’hospice San Cesario di Lecce. Il lavoro degli operatori socio-sanitari in prima linea per offrire accoglienza, presenza e vicinanza ai familiari. Un sostegno psicologico cruciale per i bambini. Con l’aiuto prezioso dei volontari
Il lavoro cruciale dell’equipe multidisciplinare comincia appena la famiglia insieme alla persona malata entra nell’hospice. Siamo nel Salento, vicino Lecce, a San Cesario, e stiamo compiendo un viaggio dentro le mura di una struttura che accompagna alla morte persone che si avviano al termine della loro esistenza. Quando qui arriva un nuovo paziente, in molti casi i familiari si rivolgono direttamente agli operatori socio-sanitari, prima ancora che al medico e allo psicologo. “La relazione che si instaura con il paziente, nell’accudimento, è fisica e intima – spiega Anna Urso, una dei sei Oss operativi -, si crea un rapporto confidenziale con la persona malata e con il parente, che vedendo questa relazione di supporto con il proprio caro riesce più facilmente a parlare, confidarsi con noi. Siamo quindi in prima linea per i familiari, punto di riferimento, e posso dire che i familiari stessi si dicono soddisfatti di aver portato qui il proprio caro”. Nolita Metruccio, Oss, lavora in hospice da sette anni: “I pazienti arrivano qui certamente in condizioni critiche, con i familiari fortemente provati dal lavoro di cura. Già dal giorno successivo, però, riescono a migliorare anche soltanto perché scompare il dolore. Possono riuscire quindi a riprendere a mangiare, a relazionarsi con i familiari, tutto questo consente certamente di migliorare le proprie condizioni generali”. I tempi di ricovero mediamente sono di circa venti o trenta giorni, durante i quali i familiari hanno modo di instaurare una relazione stretta con l’intera equipe.
Stare accanto ai bambini
Giovanna Fersini lavora come psicologa presso l’hospice da dieci anni, e segue da vicino insieme ai pazienti anche i familiari, sia adulti che bambini, nelle fasi che precedono e in quelle successive alla morte del proprio caro: “Quando sono arrivata, mi sono resa conto dell’importanza di stare vicino ai bambini in momenti così duri, mancavano totalmente questi tipi di interventi, durante la malattia e poi con il distacco. Abbiamo cominciato così a incontrare fuori dall’hospice insegnanti e genitori, nelle scuole, in modo da riuscire a formare gli adulti su come rapportarsi ai bambini su questi temi. Abbiamo raggiunto 21 scuole della provincia di Lecce, e continuiamo così con questo lavoro”.
All’interno dell’hospice, non esiste “uno specifico protocollo secondo cui comportarsi, con i pazienti o con i familiari – aggiunge Fersini -. In alcuni casi i familiari ci chiedono di non rivelare esplicitamente alla persona malata dove si trova, a volte alcuni pazienti rimuovono quello che sanno sulla propria condizione, in altri casi hanno necessità di sapere passo dopo passo quello che deve accadere. Spesso persone più anziane non vogliono essere informate, delegano il proprio coniuge oppure i figli. Occorre rispettare ogni persona, ciascuno diverso da un altro”.
I VOLONTARI DELL'HOSPICE
Con notevoli difficoltà, nel 2007 è stata fondata l’associazione “Il mantello di San Martino”, dal desiderio di alcuni familiari di persone assistite in hospice, vero e proprio ‘braccio armato’ per il lavoro sia all’esterno che dentro la struttura, di accoglienza, presenza, vicinanza. “Al momento siamo 17 volontari, certamente non è facile esserlo in questo contesto – sottolinea Concetta Carcagnì, volontaria e presidente-. Veniamo incontro alle esigenze anche pratiche dei familiari, che in alcuni casi trascorrono il tempo qui costantemente con il proprio caro, senza riuscire per giorni a tornare a casa. La malattia isola, fa sentire soli, cerchiamo quindi di combattere questa realtà alternandoci con i turni in hospice tra mattina e pomeriggio”. La onlus si sostiene attraverso le quote associative, donazioni e organizza iniziative di raccolta fondi sul territorio per fare conoscere e promuovere le cure palliative.
“Si tratta di cercare di migliorare in tutti i modi la presenza qui in hospice di pazienti e familiari – precisa Carcagnì - dedicando il tempo, la compagnia, ad esempio anche semplicemente con una televisione in stanza o mettendo a disposizione sedie più comode. Si può diventare volontari svolgendo un corso preparatorio di formazione, anche chi è già impegnato come volontario però deve svolgere una volta al mese un incontro fondamentale, accanto alla psicologa, per elaborare i vissuti del reparto”. Un supporto psicologico che è a disposizione dell’intera equipe della struttura: “Anche noi come infermieri abbiamo bisogno di questo tipo di aiuto – precisa Rollo, infermiera professionale -, avvertiamo molto la pesantezza e la fatica di questo impegno. Riusciamo ad andare avanti, però, grazie alle soddisfazioni ricevute, e lavorando qui cambia notevolmente la nostra prospettiva rispetto alla vita e al futuro”.
Sara Mannocci