Immigrazione, Firenze terza città italiana per imprese straniere
Sono più di 16mila, alla fine del 2019, le attività di stampo imprenditoriale gestite da immigrati nella Città Metropolitana di Firenze (il 17,8% del totale). Impiegano 42mila persone
A Firenze sono più di 16mila, alla fine del 2019, le attività di stampo imprenditoriale gestite da immigrati nella Città Metropolitana di Firenze (il 17,8% del totale), che ne fanno la terza provincia italiana per numero di imprese guidate da lavoratori nati all’estero, preceduta soltanto da Roma e Milano. Anche a Firenze, in analogia col trend registrato sul piano nazionale, le imprese degli immigrati continuano a crescere, nonostante le molteplici problematiche acuite dalla congiuntura economica negativa, segnando un andamento opposto a quello del resto delle aziende del territorio, caratterizzate da una progressiva diminuzione: nell’ultimo anno le prime sono aumentate del 1,5%, mentre le seconde sono diminuite dello 0,9%. Basti pensare che il 30,3% delle nuove iscrizioni del 2019 in Camera di Commercio sono quelle delle imprese straniere.
Si tratta, in larga maggioranza, di attività poco strutturate, costituite da ditte individuali, ma che danno anche occupazione, impiegando oltre 42mila addetti, di cui quasi il 50% lavorano in aziende con più di 5 addetti. Le nazionalità prevalenti sono la cinese, la romena, l’albanese e la marocchina. La distribuzione per settori di attività evidenzia la rilevanza del settore costruzioni, che raccoglie una quota di imprenditori immigrati del 28%, seguito da commercio (25%), manifatturiero (22%) e alloggio e ristorazione (7%).
“Il contesto sociale in cui gli immigrati operano e vivono continua a vedere l’Italia alle prese con crisi demografiche la cui soluzione non può più essere oggetto di sole politiche nazionali incapaci di risposte durevoli – commenta Giacomo Cioni, presidente di CNA Firenze Metropolitana - Le imprese degli immigrati, anche se spesso di dimensioni modeste, costituiscono non soltanto un fattore di benessere ed un ‘ascensore sociale’ per le famiglie di provenienza, ma anche fattore di coesione per la società nel suo insieme e una risorsa a disposizione per costruire con i Paesi di origine un partenariato commerciale e produttivo sensibile al tema della sostenibilità e aperto a prodotti e servizi di nuova concezione. L’integrazione sociale, infatti, passa dalla cultura, dalla scuola, dalla vita di tutti i giorni e dal far impresa, apportando anche ricadute economiche e fiscali positive sul paese che accoglie”. “La propensione imprenditoriale degli immigrati è diffusa ma poco valorizzata benché, se opportunamente accompagnata da una politica integrata e a più livelli, potrebbe innescare una spinta imprenditoriale creativa nella nostra economia, fattore di stabilità e di coesione per la crescita e l’occupazione” conclude Cioni.