Il freddo fatale. Le instabilità politiche e sociali dipendono anche dal clima, lo insegna la Storia
Un gruppo di scienziati ricostruisce gli avvenimenti climatici che contribuirono alla caduta di Giulio Cesare.
Attenzione agli spifferi e ai colpi di freddo! Badate bene, non si tratta solo di una ragionevole raccomandazione a tutela della nostra salute. In gioco potrebbe esserci molto di più, fino all’impensabile. Sto esagerando? E allora sentite un po’ questa.
Ricordate che nel lontano 44 a.C. Giulio Cesare fu assassinato? E che a tale evento seguì una sanguinosa guerra civile, che alla fine portò alla cessazione (nel 27 a.C.) dell’antica Repubblica romana e alla nascita dell’Impero Romano? Certo che lo ricordate, basta rileggere le cronache dell’epoca.
Ciò che non tutti rammentano, invece, è che una parte degli storici sottolinea come l’instabilità politica dell’epoca sia stata determinata anche da un lungo periodo di cattivi raccolti agricoli, carestie e malattie causate dall’arrivo di un clima freddo su tutta l’area del Mediterraneo.
Ebbene, un recente studio (pubblicato sui “Proceedings of the national academy of sciences”) condotto da Joe McConnell, del Desert research institute in Reno (Usa), afferma che quell’evento climatico estremo fu in realtà causato da una massiccia eruzione del vulcano Okmok, in Alaska (cioè quasi dalla parte opposta del globo!). Come verificatosi molte altre volte nella storia della Terra, le ceneri proiettate nell’atmosfera da quel fenomeno determinarono un aumento della riflessione della radiazione solare, con un conseguente notevole raffreddamento della superficie terrestre.
McConnell e colleghi sono giunti a tale conclusione dopo aver effettuato un’analisi geochimica della “tefra” (l’insieme dei materiali piroclastici prodotti nel corso di un’eruzione) dell’eruzione dell’Okmok, rimasta intrappolata nelle carote di ghiaccio dell’Artide, prelevate negli anni ’90 in Groenlandia e in Russia e conservate in vari istituti statunitensi, danesi e tedeschi. Le nuove misurazioni effettuate, unitamente a quelle dell’epoca, hanno permesso ai ricercatori di individuare le date di due distinte eruzioni del vulcano: la prima – intensa, ma di breve durata – sarebbe avvenuta intorno al 45 a.C.; la seconda – di portata ben più vasta – si sarebbe verificata nel 43 a.C., producendo ceneri che si sono sparse sui territori circostanti per altri due anni.
Per confermare queste prime evidenze riscontrate, i ricercatori hanno poi analizzato gli anelli di crescita di alberi in Scandinavia, Austria e California, oltre agli “speleotemi” (concrezioni geologiche che rappresentano registrazioni naturali di diverse variabili climatiche della storia) della cava di Shihua, in Cina. Infine, McConnell e i suoi colleghi hanno impiegato alcuni modelli del pianeta per misurare l’entità dei fenomeni vulcanici dell’epoca e il loro influsso sul clima. Risultato? In base alla raccolta dei dati ottenuti, risulta che i due anni seguenti alla seconda eruzione dell’Okmok furono effettivamente tra i più freddi dell’emisfero boreale degli ultimi 2500 anni, mentre il decennio successivo risulta essere il quarto più freddo.
I modelli climatici, inoltre, indicano che le medie stagionali delle temperature furono di 7 °C al di sotto della media dei valori durante l’estate e l’autunno che seguirono l’eruzione del 43 a.C., con precipitazioni che, in estate, hanno registrato un consistente aumento (dal 50 al 120 % in più rispetto al normale) in tutta l’Europa meridionale, mentre in autunno sono cresciute addirittura del 400 %! “Nella regione del Mediterraneo, – spiega McConnell – queste condizioni estremamente fredde e umide probabilmente ridussero la resa dei raccolti e aggravarono i problemi di approvvigionamento durante i continui sconvolgimenti politici del periodo. Queste scoperte danno credibilità alle segnalazioni di freddo, carestia, carenza di cibo e malattie descritte dalle antiche fonti scritte”. Beh, se la storia insegna qualcosa…. occhio alle freddate!