Il commissario e il senso della vita. Il poliziesco è un cammino talvolta inconsapevole verso il recupero dei valori dell’esistenza
La ricerca del ristabilimento dell’ordine è tutt’uno con il percorso interiore, il che non vuol dire irreale, verso il benessere dell’anima, che è in simbiosi con quello del corpo.
A dire il vero, non è da oggi che il poliziesco – su schermo, libro, cellulare che sia – affascina la gente: a patto di accettare il fatto che quel genere si è affacciato alla nostra attenzione sotto molti, forse troppi, nomi e con infinite e spesso sostanziali differenze. Perché giallo, noir, detective story, thriller, poliziesco, hard-boiled nascondono mondi di senso talvolta opposti, che vanno dalla metafisica alla desolazione esistenziale, dal sospetto che il nonsenso regni nella vita fino allo spiritismo.
Sin dai tempi più antichi si è assistito alla narrazione della ricerca del colpevole di delitti, rapine, profanazioni, trasgressioni di svariate tipologie. Il furto, la violenza, lo scambio di persone attiravano i lettori di allora come quelli di oggi, solo che la forma esplicita di un personaggio che indaga per professione su una violazione delle leggi con punizione del colpevole viene codificata da William Godwin in “Caleb Williams”, lunghissima storia di delitti, inimicizie, prepotenze, solo alla fine del Settecento; il secolo dopo segnerà il trionfo dell’indagine, con Poe, Collins, Doyle, fino a diventare nel Novecento, qualcosa d’altro, con Christie, Simenon, Leblanc e con le indagini del Padre Brown di Chesterton, scrittore che poi fonderà il giallo metafisico con il suo assoluto capolavoro: “L’uomo che fu giovedì”. Anche se senza il prete-investigatore.
Ma oggi, di fronte alla constatazione che il commissario Montalbano tiene inchiodati (dopo aver intrigato i lettori con l’”arcaico” cartaceo) davanti allo schermo milioni e milioni di persone – e da prima, molto prima del Covid -, alla proliferazione di romanzi a trazione commissari, poliziotti, investigatori, inquirenti, ci chiediamo a cosa sia dovuta questa persistenza. Le ragioni sono molte, e, come era da aspettarsi, alcune assai antiche: intanto l’aspirazione all’ordine soppresso, se però non si veda in questo semplicemente il desiderio di tranquillità. Sotto questa apparenza si cela la consapevolezza profonda che il bene, il rispetto, la pace siano i valori essenziali per la vita. E poi l’apporto terapeutico della lettura o dell’avventura, con l’effetto empatico che ci permette di interiorizzare e di vivere in qualche modo la ricerca del bene e del senso. Ormai le indagini non solo neuro-psichiatriche, ma anche compiute con i macchinari sofisticati a disposizione della medicina, hanno provato l’incremento di endorfine, di neurotrasmettitori benefici nell’organismo nell’atto della lettura.
La ricerca del ristabilimento dell’ordine è tutt’uno con il percorso interiore, il che non vuol dire irreale, verso il benessere dell’anima, che è in simbiosi con quello del corpo. Non è un caso che l’accezione noir – una interpretazione pessimistica dell’esistenza e della natura dell’uomo – sia in Montalbano stemperata nella visione della natura, nel presentarsi anche di personaggi positivi, in una percezione profonda di giustizia aldilà della conclusione della singola storia nella quale rimane la tristezza della coscienza di un male pronto a riemergere.
Attraverso il commissario o l’agente più o meno segreto di turno raffiora l’ancestrale richiesta di senso insita in noi, e che può essere confortata dalla chiusura di un’indagine che sembrava irrisolvibile, e che invece, grazie all’eroe quotidiano, ci mostra come il bene in fondo non è così lontano dalle nostre esistenze.