Il caso dei senza dimora a Termini, tra bruchi e farfalle

Manifestare per i diritti di chi vive in strada è uno dei compiti delle organizzazioni ma eventi spot, sit in e flash mob creano bolle mediatiche che indignano per qualche giorno. Permettere alle persone senza dimora di dormire e mangiare in stazione sarebbe una sconfitta della nostra intelligenza e del nostro sistema di accoglienza

Il caso dei senza dimora a Termini, tra bruchi e farfalle

Sono a Termini tutti i giorni da più di venti anni per lavorare in supporto delle persone che nella stazione cercano una dimora alternativa alla casa, ma l’altro giorno, nonostante le sollecitazioni avute da più parti, non c’ero alla manifestazione contro la “pulizia di piazza dei Cinquecento”, perché non riesco ancora a comprendere appieno le vere finalità e gli obiettivi reali di questa alzata di scudi di alcune organizzazioni ed oggi addirittura di alcuni parlamentari che pare abbiano presentato una interrogazione ai Ministeri delle Infrastrutture e degli Interni.
Manifestare per i diritti di chi vive in strada, dare voce a chi non ha voce non solo è importante ma è uno dei compiti e delle responsabilità delle organizzazioni che, come Binario 95, si occupano di chi nella vita ha avuto degli inciampi che lo hanno portato ad una condizione di esistenza difficile; di chi, per destino o per caso, è nato zoppo e non è mai riuscito, spesso perché non è stato aiutato in modo opportuno, ad imparare a camminare, seppur con le stampelle o con una sedia a rotelle.
Parlare delle persone senza dimora è importante perché se ne racconta sempre troppo poco e spesso solo strumentalmente in occasione di eventi straordinari: quando fa troppo freddo, troppo caldo, quando qualcuno muore, in strada o dormendo in una macchina o quando qualche persona, in genere con problemi psichiatrici o semplicemente che ha superato il limite di sopportazione di una condizione disumana di esistenza, salta sopra il cofano di una macchina parcheggiata nei pressi della stazione e tira fuori un coltello minacciando i cittadini. Eventi di questo tipo creano bolle mediatiche che indignano per qualche giorno, fanno aumentare i click di una testata o di una pagina Facebook e magari danno un po’ di visibilità alla associazione o al politico di turno. Poi, dopo un po’ di parole e qualche immagine, tutto sfuma, l’indignazione si sopisce e le persone restano in strada. Certo, questo è il gioco delle parti: la stampa deve fare la stampa e raccontare eventi, fintanto almeno che quegli eventi interessano il pubblico e non può sostituirsi ad un sistema di Welfare che dovrebbe garantire la dignità ed i diritti, e alcune sigle di tanto in tanto devono farsi vedere e sentire per qualcosa, devono “cavalcare l’onda” altrimenti restano indietro e nessuno si interessa più a loro. Non può valere lo stesso però per le istituzioni o comunque per chi lavora con il manifesto obiettivo di aiutare davvero chi vive in strada; non può valere lo stesso per enti che investono tempo, risorse e sudore per costruire percorsi di uscita dalla strada. In questo caso non ci si può fermare all’evento, al momento, onde rischiare di alimentare i propositi del mezzo e non puntare agli obiettivi del fine per cui si fa quella azione.
Quindi, bene parlarne in ogni caso, ma una riflessione obiettiva, onesta ed adulta per capire la direzione delle battaglie che si portano avanti è sempre necessaria, per evitare, sia di perdere molto di quel tempo che nel nostro settore in particolare è davvero prezioso, sia di far sembrare di voler strumentalizzare una situazione delicata e drammatica per il solo risultato di un po’ di visibilità.
Sono sempre stato portato alla razionalità, un po’ per deformazione professionale, e provando a oggettivizzare la situazione i punti della protesta su Roma Termini che ormai va avanti da settimane, mi sembra siano due:

1) Distribuzione del Cibo: alcune associazioni pare siano state richiamate dalle forze di sicurezza perché stavano cercando di distribuire cibo all’interno della stazione ad alcune persone senza dimora che, per problemi fisici o mentali, fanno fatica ad avvicinarsi ai luoghi dove la distribuzione è consentita ossia a piazza dei Cinquecento o nelle vie laterali della stazione, Marsala e Giolitti;

2) Pulizia di Piazza dei Cinquecento: la società Grandi Stazioni che gestisce la manutenzione e la pulizia del principale plesso ferroviario romano ha recentemente intensificato le pulizie con le idropulitrici nel fronte stazione nella zona delle vetrate dove in genere stanziano o dormono, in particolare di notte, tra le venti e le quaranta persone senza dimora.

La distribuzione di generi di prima necessità a Roma Termini, così come in altre stazioni italiane o europee, è un evento che si ripete da sempre, io stesso negli anni ottanta venivo tutti i venerdì sera con la mia parrocchia a portare panini e coperte. A quei tempi l’attività era poco strutturata e si presentava chi poteva quando poteva, creando a volte assembramenti o duplicazione di interventi nella stessa giornata. Capitavano dei giorni in cui c’erano tre momenti di distribuzione uno dopo l’altro ed altri in cui non c’era nessuno. Col tempo, grazie anche al grande lavoro di alcune associazioni più strutturate come Caritas e Sant Egidio che hanno dato poi vita al Coordinamento cittadino delle associazioni che distribuiscono beni di prima necessità, chiamato “Forum per la Strada”, si è creata una sinergia ed una collaborazione sia tra le associazioni che tra alcuni Stakeholder tra cui il Comune di Roma, le Ferrovie dello Stato italiane ed anche alcuni negozianti che si sono resi disponibili a donare gratuitamente il cibo non venduto a fine giornata.

Nel caso di Roma Termini, a seguito di diverse riunioni tenutesi negli anni alla presenza anche del prefetto, della Protezione Aziendale di FS, di Grandi Stazioni, dell’ONDS, dell’Assessore alle politiche sociali di turno, finanche in alcuni casi dell’Elemosineria Apostolica della Santa Sede, si è definito un accordo informale secondo il quale le associazioni sono autorizzate a distribuire beni di prima necessità agli indigenti che si trovano o transitano nei pressi delle stazioni di Roma, purché nel rispetto delle regole di sicurezza, con turnazioni definite e condivise (vedi qui) e in alcuni casi in luoghi concordati. Per quanto riguarda Roma Termini questi luoghi sono stati identificati nello slargo di via Marsala di fronte all’incrocio con via di Castro Pretorio, lungo le mura Serviane di Piazza dei cinquecento e in forma ordinata e distribuita, lungo via Giolitti. L’accordo prevede inoltre che ogni ente si occupi, dopo la distribuzione, della pulizia del luogo dove ha operato, evitando di lasciare in giro piatti di plastica, bicchieri o buste.

Per quanto riguarda le quattro o cinque persone fragili presenti all’interno della stazione, seppur oggi seguite quotidianamente dagli operatori dell’Help Center e della unità mobili della Sala Operativa Sociale, si è informalmente concordata la possibilità di portare loro singolarmente del cibo, ma con discrezione, senza pettorine fosforescenti o particolari simboli che potessero far intendere ai passeggeri o ad altre persone indigenti in grado invece di raggiungere i luoghi autorizzati, che sia permessa la distribuzione massiva di cibo all’interno della stazione. Quindi puntare allo scopo e non all’azione di visibilità. E’ un accordo che non troverete scritto da nessuna parte ma, e chiedetene conferma alle associazioni del Forum, che va avanti da diversi anni. A memoria, non mi pare sia stato mai negato di portare un panino o una bibita ad una persona bisognosa, purché nel rispetto del decoro e della discrezione. A Roma sappiamo non si muore di fame, ma si può morire di solitudine e di indifferenza e la sola azione di avvicinarsi ad una persona emarginata, ascoltarla, offrirgli un sorriso o fargli una carezza è un gesto di carità che non può e non deve essere negato a nessuno, purché nel rispetto anche delle altre persone che vivono o frequentano la stazione. Nel caso specifico di Roma Termini credo quindi ci sia stato un fraintendimento o probabilmente chi ha operato il supporto, non era a conoscenza di queste regole informali.

Come risolvere?

Istituzionalizzerei una formale autorizzazione a distribuire in determinati luoghi nei pressi della stazione secondo le regole concordate e chiamerei tutte le organizzazioni interessate a firmare quel protocollo. Chi vorrà distribuire in stazione dovrà prima aderire al Forum, accettare le regole e quindi rispettarle. In questo modo sarà permesso a tutti di esercitare la propria azione di solidarietà o di sicurezza, nel rispetto di tutti: le persone senza dimora, il gestore ferroviario, le associazioni di volontariato e anche le forze dell’ordine. Chi non vuole rispettare quelle regole, vada da un’altra parte. Per quanto riguarda la pulizia del fronte stazione certamente l’incremento dell’attività può avere preso di sorpresa le persone abituate a stanziare sotto la pensilina. Una condivisione preventiva dell’azione da parte di Grandi Stazioni con il Comune di Roma e con le associazioni avrebbe probabilmente evitato di creare questo coro di rivolta di fronte a un’abitudine consolidata. A quanto mi risulta oggi le pulizie del fronte stazione sono fino alle 23 per riprendere alle 6 di mattina; prima se non vado errato, terminavano intorno alle 20 e riprendevano un po’ più tardi delle 6. Sarebbe bastato condividere l’informazione della variazione di orari e magari avvisare attraverso i volontari e gli operatori sociali anche le persone abituate a dormire in quei siti. Concertare l’azione insomma. Detto questo la stazione non può essere il luogo demandato all’accoglienza notturna delle persone senza dimora della nostra città e credo che la riflessione e l’eventuale contestazione non debba essere incentrata su quanto o quando le idropulitrici debbano passare, dando per scontato che tutti vogliamo l’ingresso della principale stazione della nostra città pulito e ordinato ma allo stesso tempo vorremmo garantire un tetto e un letto a tutte le persone che al momento vi stanziano durante la notte.

E qui viene il punto della mia incertezza di fronte alle vere motivazioni della contestazione: per cosa stiamo contestando? Per cosa stiamo facendo le interrogazioni parlamentari? Sarebbe paradossale se il fine di questa grande battaglia fosse solo quello di permettere alle persone senza dimora di dormire e mangiare in stazione o anche davanti alla stazione, credo sarebbe una sconfitta della nostra intelligenza e del nostro sistema di accoglienza. Stante il fatto, lo ripeto, che il rispetto delle persone, poveri, ricchi, psichiatrici o scienziati, debba sempre essere messo al primo posto, quindi se qualcuno ha offeso o operato violenza anche solo verbale su qualcun altro debba scusarsi o se necessario debba essere perseguito, credo che un così grande dispiegamento di forze, di parole e di menti, sociali, giornalistiche e politiche non possa fermarsi ad una presa di posizione superficiale del tema, semplificando la complessità dell’intervento sociale sulle persone che vivono in strada in una divisione tra buoni e cattivi. E' dell’eradicazione della povertà che ci dovremmo occupare, non di altro.

Qui non esistono buoni e cattivi, qui esistono solo poveri

A Roma ogni anno 20.000 persone diverse si rivolgono ai servizi del Dipartimento Politiche Sociali di Roma Capitale per migranti e senza dimora (vedi qui); il problema è che i posti disponibili sono in media poco più di 2.000, uno ogni dieci persone. Gli altri nove restano in strada o in stazione. E anche la proposta di accoglienza è ormai datata. “Housing First”, prima la casa, è la linea lungimirante indicata qualche anno fa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ma di Housing ce ne sono ancora troppo pochi a Roma. Inoltre molte delle persone che dormono nelle stazioni non accettano subito un posto alternativo alla strada; devono essere convinte, devono fidarsi dell’operatore che glielo propone, devono superare il timore che non sia un’ennesima fregatura che gli viene rifilata e che non farebbe altro che aumentare il senso di sfiducia in loro stessi: perché tanto non me lo merito.

E allora farei sì un’interrogazione parlamentare, ma non al Ministero dei Trasporti (FS italiane peraltro con i suoi Help Center e le 400 stazioni riqualificate mette già a disposizione in comodato gratuito decine di migliaia di metri quadri di spazio per attività sociali) ma forse al Ministero della difesa chiedendogli come mai non riesce a rendere disponibili le tantissime Caserme inutilizzate (una proprio nei pressi della stazione Termini); o magari manderei una lettera al Dipartimento Patrimonio per i tanti appartamenti o stabili inutilizzati e vuoti che non si riescono ancora ad usare nella nostra capitale; o magari proverei un’interlocuzione anche con il Vaticano per cercare di stimolare i tanti istituti che hanno decine di stanze vuote e solo quattro o cinque religiose superstiti che vi abitano e che ormai fanno anche fatica a pagare le spese di mantenimento.

Mi informerei bene, inoltre, su cosa accadrà al 30 marzo quando finirà l’emergenza freddo e termineranno i finanziamenti per quei 500 posti che miracolosamente il Comune di Roma è riuscito ad attivare negli ultimi quattro mesi; chiederei poi alle ASL di mettere a disposizione più “psichiatri di strada” per poter prendere in carico le ormai sempre più persone che, anche a seguito dell’evento pandemico, hanno perso la bussola, si trovano a dormire su un marciapiede ma non accettano alcun tipo di supporto istituzionale. Chiederei poi di intensificare i controlli di sicurezza a Via Marsala e Via Giolitti per evitare che lo spaccio o il racket della prostituzione minorile corroda la vita di altre persone che spesso credono di non avere altra scelta che quella di soccombere alle lusinghe della malavita.

Certo, l’immagine della “acqua fredda” sparata in terra per non far dormire i senza dimora è forte (spero nelle interrogazioni non chiedano un boiler per scaldarla…) ma, lo dico alla stampa, forse sarebbe il caso di raccontare ogni tanto anche quello che migliaia di operatori sociali professionisti appartenenti ai 150 servizi del terzo settore che operano in convenzione con Roma Capitale, fanno ogni giorno per andare incontro ai problemi di queste persone e risollevare le loro vite. Molti di questi peraltro operano proprio a Termini. Lo capisco che l’acqua fredda raccoglie più click, ma non stiamo forse cercando visibilità sulle spalle proprio di quelle persone che diciamo di voler proteggere?

Vanno bene allora i sit-in, i flash mob, gli articoli di giornale, le interrogazioni, ma se le facciamo devono tutte avere il vero ed esplicitato obiettivo di dare a quelle persone un’alternativa alla strada. Mi chiedo cosa penserebbero Elena, Samir, Mohammed, Francesca, Antonio se gli dicessimo: “Ehi! Tranquillo, noi stiamo combattendo per te, per farti rimanere a dormire sotto la pensilina di piazza dei 500! Sei contento? E guarda anche per continuare a portarti panini e bottigliette d’acqua in un sacchetto di plastica poggiato a terra accanto alle tue coperte, anche tre volte al giorno così non muori di fame. Sei contento? E guarda, siamo un sacco di associazioni, di volontari, di giornalisti, di politici e hanno fatto anche un’interrogazione parlamentare! Vedrai che ce la faremo a farti rimanere per strada!”. Io penso che alcuni dei nostri amici ci guarderebbero in modo strano, magari sorridendo per rispetto; o peggio ancora pensando: “Certo, è giusto, io è questo quello che mi merito”.

Ipotizziamo poi di vincere la battaglia. Ipotizziamo che il Ministero o Grandi Stazioni o chi per loro, cedano e dicano: ok avete vinto, da domani si dorme tutti a piazza dei Cinquecento. Che facciamo, portiamo le brande e attiviamo un centro di accoglienza a cielo aperto davanti alla stazione? E allora, che cosa è che davvero vogliamo ottenere da questa contestazione? Chi vogliamo davvero sollecitare? Quali obiettivi ci proponiamo?

Mi piacerebbe che oltre alle critiche e alle interrogazioni ci fossero delle proposte concrete: cerchiamo nuove case, apriamo nuovi spazi, creiamo un drop-in nei pressi della stazione che possa accogliere davvero tutti, strutturiamo il servizio di distribuzione ad personam se necessario ma apriamo anche nuove mense di strada; rafforziamo il servizio di prossimità per le dipendenze, aumentiamo i controlli di sicurezza nelle zone limitrofe alla stazione.

Aiutiamo, aiutiamo davvero le persone ad aiutarsi.

La stazione è adrenalinica e lo capisco. Passeggiare la notte in quel mondo ai confini del mondo, dove si intrecciano storie, emozioni, disperazioni magari anche sentendosi un po’ supereroi perché portiamo un cartone di pizza e qualche bibita a persone a cui speriamo di salvare la vita, è una cosa che può dare appagamento. Una stazione completamente pulita e ordinata probabilmente perderebbe il suo fascino e forse anche per questo stanno lottando alcune delle associazioni che si sono unite a questa battaglia. Ma allora domandiamoci davvero: per chi stiamo lottando? Per la stazione adrenalinica, per noi, o per le persone senza dimora, alcoliste, tossicodipendenti ed emarginate che nella stazione trovano qualcosa che nel resto della città gli è negato? E soprattutto stiamo lottando perché quelle persone si possano staccare da quella condizione e possano lasciare la stazione o perché ci siano le condizioni migliori perché possano rimanerci?

Mi chiedo allora e lo chiedo alle diverse organizzazioni sociali e politiche che stanno facendo questa lotta, con molte delle quali abbiamo condiviso e stiamo condividendo progetti e azioni: non stiamo forse sbagliando il motivo della lotta? Non stiamo forse sbagliando il luogo della lotta? Invece di una stazione non dobbiamo forse spostarci davanti ad uno dei tanti stabili vuoti della nostra città? Davanti ad una caserma abbandonata? Davanti ai tanti appartamenti che non sono messi a reddito per trasformarli in progetti di Housing? Non dobbiamo forse indirizzare le nostre forze ed energie per esigere un’accoglienza dignitosa per quelle persone che sono certo nessuno di noi vorrebbe che stessero a dormire sotto una pensilina di una stazione?

Qualche giorno fa, per il mio compleanno, mi hanno regalato tre bruchi ed un kit per seguirne la loro evoluzione e trasformazione. Ci sono due scatole in quel Kit, la prima per lo sviluppo del bruco nelle prime fasi della vita e la seconda per permettere al bruco, una volta diventato crisalide, di trasformarsi in farfalla. Nelle istruzioni c’è scritto che se non gli cambio la scatola e non predispongo le sacchette per le crisalidi i bruchi non avranno mai lo spazio giusto per trasformarsi in farfalle e volare libere nel cielo.

Ecco. Forse dovremmo decidere se vogliamo che le persone senza dimora continuino a rimanere bruchi nella scatola trasparente delle nostre stazioni o se vogliamo lottare perché possano avere una vera casa dove poter dispiegare le loro ali e trasformarsi in farfalle.Alessandro Radicchi*
* L'autore è fondatore del Centro polivalente per persone senza dimora Binario 95 alla Stazione Termini di Roma

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