Il bimbo terribile. Gli studi sulla probabilità che si verifichi una seconda versione di “El Niño”, questa volta nell'Oceano Indiano
Secondo lo studio (pubblicato su “Science Advances”), anche questo secondo “bimbo” potrebbe causare inondazioni, tempeste e siccità a cadenze regolari.
Il nome predispone alla simpatia e, quasi, alla tenerezza. Ma il fenomeno cui si riferisce preoccupa e, talvolta, incute paura: “El Niño”! E sì, perché “il bimbo”, “il piccolino”, in realtà consiste nel periodico riscaldamento dell’Oceano Pacifico centro-meridionale e orientale (America Latina). Si tratta di un fenomeno che ricorre solitamente nei mesi di dicembre e gennaio, in media ogni cinque anni (con un periodo statisticamente variabile fra i tre e i sette anni).
Tra le peggiori conseguenze di questo riscaldamento oceanico figurano devastanti inondazioni nelle aree direttamente interessate, ma anche siccità nelle zone più lontane da esso, unitamente ad altre perturbazioni che variano a ogni sua manifestazione. A farne le spese sono principalmente i paesi in via di sviluppo (soprattutto quelli che si affacciano sull’Oceano Pacifico) fortemente dipendenti dall’agricoltura e dalla pesca; ma si ritiene che “El Niño” possa avere effetti negativi anche su scala globale attraverso modificazioni della circolazione atmosferica in tutto il pianeta.
E se nei prossimi decenni (entro il 2050) il riscaldamento climatico dovesse raggiungere un punto critico… beh, con ogni probabilità si verificherà un evento del tutto simile, questa volta nell’Oceano Indiano!
Questo, almeno, è quanto prevede un gruppo di ricercatori dell’Università del Texas, a Austin, basandosi su simulazioni al computer dei cambiamenti climatici nella seconda metà del secolo attuale. Secondo lo studio (pubblicato su “Science Advances”), anche questo secondo “bimbo” potrebbe causare inondazioni, tempeste e siccità a cadenze regolari, che colpirebbero in modo sproporzionato le popolazioni più vulnerabili.
La ragione di questa previsione risiede nelle evidenze restituite dal modello di calcolo adottato, secondo cui il riscaldamento globale potrebbe cambiare gli schemi di variazione delle temperature superficiali dell’Oceano Indiano. Attualmente, infatti, questo oceano subisce lievi variazioni climatiche annuali, essendo attraversato prevalentemente da venti che, soffiando dolcemente da ovest a est, mantengono stabili le sue condizioni. Secondo le simulazioni, invece, il riscaldamento globale potrebbe addirittura invertire la direzione di questi venti, destabilizzando l’oceano e determinando di conseguenza cicli di riscaldamento e raffreddamento molto più intensi di quelli attuali, come peraltro già emerso in numerosi studi condotti finora. Si manifesterebbero così nuovi picchi climatici in tutta la regione e l’alterazione o l’interruzione dei monsoni sull’Africa orientale e sull’Asia.
La principale preoccupazione dei ricercatori è che tutto ciò potrebbe riflettersi in maniera negativa su quelle popolazioni che, per l’approvvigionamento di cibo, dipendono dalla regolarità delle piogge annuali.
“La nostra ricerca – spiega Pedro Di Nezio, climatologo dell’Università del Texas e autore principale dello studio – mostra che l’aumento o il calo della temperatura media globale di pochi gradi fa sì che l’Oceano Indiano si comporti esattamente come gli altri oceani tropicali, con temperature superficiali meno uniformi lungo tutto l’equatore, un clima più variabile e infine un vero e proprio fenomeno El Niño”.
In conclusione, una interessante curiosità emersa anch’essa dallo studio: l’evento previsto per i prossimi decenni potrebbe ripetersi in modo simile a come si è manifestato circa 21.000 anni fa, sempre nell’Oceano Indiano, durante il picco dell’ultima glaciazione. Lo proverebbero i gusci fossili di foraminiferi, già descritti in un articolo del 2019 (pubblicato da alcuni degli stessi autori del nuovo studio). Insomma – stranezze climatiche! – le condizioni glaciali del lontano passato avrebbero lo stesso effetto sull’Oceano Indiano dell’attuale riscaldamento climatico.