I classici che non ti aspetti. Ai primi posti dei libri più letti ci sono Bibbia e Corano, ma dopo cominciano le sorprese
Essendo libri assai longevi, e per di più testi sacri, Bibbia e Corano hanno assicurato un plafond di lettori che nessun altro libro potrebbe mai sperare
Ai primi posti i libri religiosi, e questo per molti era scontato: se facciamo una sorta di media tra le varie fonti di informazione, Bibbia (circa 5 miliardi di lettori) e Corano (accreditato intorno ai 3 miliardi) sono i libri più letti al mondo. I “molti” di cui si diceva possono dire che essendo libri assai longevi, e per di più testi sacri, hanno assicurato un plafond di lettori che nessun altro libro potrebbe mai sperare. Vero, anche se occorre dire che i lettori dei testi sacri non sono tali solo per fede, ma per una serie di motivi: ricerche, tentativi di interpretare quelle fonti in chiave esoterica, materialistica, new age, o di appoggiarvisi per fondare nuove religioni; ispirazione per nuovi testi poetici o narrativi, film, sequel catastrofici basati sulla lettura – superficiale – dell’Apocalisse, e tanto altro. Tenendo conto che hanno dalla loro non solo la fede, ma anche la bellezza: basti pensare al Cantico dei Cantici. Non a caso l’elenco degli scrittori, artisti, scultori che si sono ispirati a quei testi è impressionante, da Dante a Borges, passando per quasi tutta l’arte, non solo medievale.
E se proprio volessimo fare le pulci al concetto di obbligatorietà, allora potremmo notare che al terzo posto ci sarebbe (il condizionale è d’obbligo) il celebre Libretto Rosso di Mao Zedong, libro “sacro” per i rivoluzionari cinesi che presero il potere dopo la Lunga Marcia e anche per la contestazione studentesca del 1968, che si attesterebbe tra gli 800 milioni e il miliardo di copie vendute. Ma dobbiamo tener conto del numero degli abitanti, e non solo in Cina, visto l’uso politico dei pensieri maoisti. Sempre sul miliardo, milione più milione meno, ma stavolta fuori dal concetto di obbligatorietà, starebbe Agata Christie con l’insieme dei suoi romanzi, “Dieci piccoli indiani” al primo posto. Una delle origini di tutto ciò che verrà dopo, e sarà un dopo durevole assai, visto che il genere poliziesco o giudiziario imperversa ancora oggi. E poi delle sorprese, un po’ perché non troviamo Omero e Virgilio, Dante, Shakespeare, Tolstoj, e tanti altri, mentre scopriamo qualcosa che non ci aspetteremmo, i passa 200 milioni di “Due città” di Dickens, non tanto per uno scrittore molto letto, e in tutto il mondo, ma perché avremmo pensato al “Cantico di Natale” o “David Copperfield”. E invece ecco un rarissimo Dickens politico. Ma è una singolarità che diviene mainstream oggi, perché si ricollega al poco prima di Napoleone, di cui cade l’anniversario della morte: la trama, infatti, riguarda Parigi durante la rivoluzione francese e Londra, nell’intrecciarsi, e questo è proprio di Dickens, di diverse storie, tra amore, violenza, redenzione e il sacrificio di sè. Una sorta di scelta “riformista” di un lettore che ha premiato la visione umanitaria dello scrittore ma anche la sua avversione alle violenze rivoluzionarie.
Abbiamo parlato di spiritualità, new age e altre forme di pensiero vecchie e nuove, che come il noir e il giallo arrivano da lontano e dominano ancora oggi; pensate a Tolkien, che ai tempi della sua prima avventura editoriale, “Lo Hobbit”, fu stroncato dai colleghi critici e docenti universitari: figuriamoci, storie di troll, draghi, elfi. In quegli anni il simbolismo religioso era tabù. Eppure da 120 a 140 milioni di copie vendute a partire dal fatidico 1937. Data storica non perché inizi un genere, ma in quanto si scopre che l’incrocio tra fiaba e favola, saga celtica e racconti di fate continua ad affascinare, non solo i bambini. Riemersione del rimosso, avrebbe bofonchiato il buon vecchio Freud. Mentre l’eretico Jung avrebbe plaudito al ritorno agli archetipi perduti, senza contare che la cosa non è finita lì, ma continua, e alla grande, ai giorni nostri, ad esempio l’Harry Potter di “mamma” Rowling che conta 400 milioni di copie vendute in 80 Paesi del mondo, Coelho, che con “L’ alchimista” veleggia tra i 65 e i 70 milioni, e poi Dan Brown, e la Meyer di “Twilight”. E, se è per questo, “Alice nel paese delle meraviglie” è accreditata di 100 milioni di lettori. Con delle sorprese: i classici sono letti, ma non sono quelli che ci hanno insegnato a scuola, almeno che, e non sarebbe un errore, non si voglia considerare classico “Don Chisciotte” di Cervantes, che con i suoi 500 milioni segna il trionfo dell’antiromanzo, dell’eroe al negativo, senza muscoli e apparentemente senza senno, preso in giro e bastonato.
E poi, se però ci mettiamo la strada spianata dal cinema, ci accorgiamo che il “classico”, anche perché parla pure di storia americana, seppure condita con amore e passione, “Via con il vento” di Margareth Mitchell, 1936, ha venduto 33 milioni, e con gli italiani mica tanto male: “Pinocchio” è stato letto finora da 80 milioni di persone, e Il più ‘giovane’ “Il nome della rosa” di Umberto Eco 50 milioni, ma sono cifre di qualche anno fa. Il primo ha probabilmente smosso le suggestioni arcaiche del contatto con la natura, del legno-materia originaria, simbolo anche della croce di Cristo, il secondo perché ha fuso storia, finzione, filosofia, avventura, religioni ufficiali ed eresie, amore e morte in un testo scorrevole e allusivo nello stesso tempo. Ma tra i classici moderni per letture e vendite ci sono anche “Il piccolo principe” di Saint-Exupéry, racconto d’amicizia e dell’accettazione della fine delle umane cose, il Diario di Anne Frank, che rimane come baluardo contro le tentazioni di ritorni demoniaci, e l’enigmatico “Il maestro e Margherita”, di Bulgakov, che con i suoi 100 milioni e l’ostracismo del regime sovietico dimostra come la gente legge, e pure difficile.