"Guardami, parlo". Le nuove scoperte sulla capacità di decifrare il linguaggio corporeo
Gli scienziati hanno indagato le basi neurali della comprensione del linguaggio del corpo, in quanto sistema di comunicazione non verbale.
Il nostro modo di comunicare si serve di differenti tipi di linguaggio, tutti in qualche modo mediati dalla nostra corporeità. In alcune occasioni già la postura corporea che assumiamo rappresenta una forma di comunicazione “silente” che veicola un nostro messaggio. Così, ad esempio, guardando una bambina che porta la mano davanti alla bocca, con espressione imbarazzata, subito intuiamo che, probabilmente, ci sta comunicando di aver detto una bugia.
Ma come riusciamo ad interpretare i segnali della comunicazione “silente”? Attraverso quali reti cerebrali?
Secondo la teoria cosiddetta dell’ “embodied cognition”, la comprensione del linguaggio del corpo – cioè del significato che la persona che abbiamo di fronte vuole comunicarci attraverso la sua postura – richiederebbe necessariamente che ci immedesimassimo nell’altro, immaginando di assumere la medesima postura. In altre parole, si tratterebbe di chiedersi: cosa vorrei comunicare io se assumessi quella specifica postura?
Ma le cose stanno davvero così? Ha provato a verificarlo un team di studiosi italiani, col coordinamento di Barbara Tomasino, responsabile scientifico del Polo friulano dell’Irccs Medea, mediante una nuova ricerca (pubblicata su “Perceptual and Motor Skills”). Questi studiosi hanno dunque voluto testare l’ipotesi dell’ “embodied cognition”, indagando le basi neurali della comprensione del linguaggio del corpo, in quanto sistema di comunicazione non verbale che veicola un significato attraverso la postura.
In concreto, i ricercatori hanno sottoposto 20 volontari sani adulti ad un esperimento di “imaging”, sottoponendoli ad una risonanza magnetica funzionale 3 tesla, mentre venivano mostrate loro delle immagini che rappresentavano differenti posture del corpo (come appunto la bambina dell’esempio che con la mano davanti alla bocca indica di aver detto una bugia oppure che con l’indice sulla guancia suggerisce “buono”).
Ai soggetti partecipanti, circa le stesse immagini ma in momenti diversi, veniva chiesto di valutare due aspetti: a) li si invitava a prestare attenzione al significato veicolato dalle immagini (in pratica, si trattava di scegliere tra due descrizioni presentate sotto la figura: nel caso dell’esempio l’alternativa era tra “dammi un po’ di tempo” oppure “ho detto una bugia!”); b) veniva chiesto loro di prestare attenzione alla posizione (le mani sono davanti alla bocca o sulle guance?).
Durante lo svolgimento di questi compiti, gli studiosi hanno messo a confronto l’attivazione neurale legata ai due momenti, riuscendo a delineare il network delle aree coinvolte nelle due mansioni richieste. E’ così risultato che, nello svolgimento del primo compito – consistente nel cogliere il significato di una data postura in quanto linguaggio del corpo – si attivava un network di aree cerebrali (comprese tra il lobo temporale e quello frontale) coinvolte nella comprensione delle emozioni altrui. Al contrario, non si attivavano le aree sensorimotorie contenenti le informazioni provenienti dal proprio corpo (rappresentazione egocentrica), aree che – in base all’ipotesi dell’embodied cognition – sarebbero invece cruciali per immedesimarsi mentalmente nella postura dell’altro. Durante il secondo compito – in cui era stato chiesto ai volontari di prestare attenzione alla posizione – si attivavano invece delle aree che “ospitano” la rappresentazione della descrizione strutturale della mappa del corpo (“body structural description”), cioè una forma di rappresentazione basata sull’oggetto (rappresentazione allocentrica).
“Attraverso la decodifica dei segnali – spiega la Tomasino – basati su posture significative assunte dalle nostre parti del corpo, rileviamo le intenzioni, gli stati interiori e le motivazioni degli altri. I nostri risultati indicano che la lettura del linguaggio del corpo recluta delle aree coinvolte nell’elaborazione di concetti astratti, nella comprensione degli stati mentali degli altri e nella teoria della mente”.
I risultati di questo studio, dunque, mostrano come, dal punto di vista della ricerca in neuroriabilitazione, il network coinvolto nell’elaborazione del linguaggio non verbale sia decisamente complesso e meriti ulteriori approfondimenti.