Giornata Internazionale degli infermieri: pilastri della cura, ancor più indispensabili in Africa
Tutti i giorni a fianco dei pazienti si prodigano senza sosta, anche a rischio della propria salute. Don Dante Carraro: «Senza di loro il nostro lavoro sarebbe impossibile».
Si celebra domani, martedì 12 maggio, la Giornata internazionale degli infermieri, nello stesso anno che è stato dedicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità al lavoro di infermieri ed ostetriche.
Gli infermieri e le infermiere sono in prima linea da sempre, in tutto il mondo, nella cura dei pazienti, soprattutto in questi mesi, in cui i sistemi sanitari sono messi fortemente sotto pressione dall’emergenza Coronavirus. L’Africa non fa eccezione, ma parte da una situazione ancora più precaria.
Ricordare oggi il lavoro silenzioso e indispensabile degli infermieri è importante per Medici con l’Africa Cuamm, che in Africa è presente in 23 ospedali con 2.915 operatori. In queste strutture, supportate dal Cuamm ed ora minacciate dal Covid-19, lavorano circa 1.000 infermieri. Qui Medici con l’Africa Cuamm si è impegnata per portare materiale di protezione e introdurre nuove procedure di prevenzione, per proteggere il personale sanitario, particolarmente esposto al contagio.
Se il Coronavirus è la minaccia più recente per la salute della popolazione africana, rimangono sempre aperte le sfide di prima, come spiega il direttore del Cuamm don Dante Carraro:
«Come in Italia, a maggior ragione in Africa, gli infermieri sono le figure che tengono in piedi i sistemi sanitari. Dai centri di salute, agli ambulatori, ai reparti degli ospedali, fanno un lavoro nascosto, spesso silenzioso, ma essenziale anche per i pochi medici locali e per gli espatriati. Fondamentale la loro capacità di comunicare con i pazienti, grandi e piccoli, anche in termini linguistici e di comprensione dei contesti locali. Senza di loro gran parte del nostro lavoro sarebbe impossibile: per questo è importante celebrarne la figura oggi. Senza dimenticare i molti infermieri e operatori sanitari che in questi ultimi due mesi si sono spesi senza sosta in Italia, per la salute di tutti noi, anche a costo della vita»
PAMELA IN REPUBBLICA CETRAFRICANA: «CHE BELLA LA GRATITUDINE DEI PARENTI»
Nell’Ospedale Pediatrico di Bangui ci sono 205 infermieri, che si prendono cura di bambini che vengono da tutto il paese per operazioni complicate, ma molti sono ricoverati anche per malnutrizione acuta, o per il morbillo, che è scoppiato nel paese tra gennaio e febbraio. Pamela D’Ascenzo, infermiera originaria di Forlì, a Bangui ha trovato colleghi molto motivati, nonostante le difficoltà del lavoro quotidiano:
«Josette e Simplice sono due degli infermieri più bravi con cui ho lavorato in questi mesi. Josette ha 38 anni e cinque figli: fa l’infermiera da sei anni e ogni mattina affronta spostamenti molto lunghi e grandi disagi per venire a lavorare. Dice che l’aspetto che ama di più del nostro lavoro è il contatto con le persone. Simplice è più giovane e mi ha raccontato che ha scelto di fare questo lavoro per “salvare delle vite”, oggi per lui la gratitudine dei parenti dei bambini che guariscono è la cosa più bella».
ANA IN SUD SUDAN: «CI PREPARIAMO AL COVID-19, MA SERVE FORMAZIONE»
Ventisei anni, infermiera originaria di Barcellona, Ana Artes de Arcos ha imparato l’italiano in Erasmus a Pavia e da quando è a Rumbek lo usa insieme all’inglese tutti i giorni, lavorando con lo staff di Medici con l’Africa Cuamm:
«Negli ultimi mesi abbiamo preso un’area di isolamento dell’ospedale, costruita per Ebola, ma mai ancora utilizzata, e l’abbiamo adattata alla gestione di casi covid-19, con concentratori di ossigeno e farmaci. Per fortuna per il momento non abbiamo casi confermati, ma stiamo facendo il possibile per prepararci, con pochi mezzi. Da infermiera, sono felice che si ricordi l’importanza del nostro ruolo, molto spesso sottovalutato. Gli ospedali non andrebbero avanti senza infermieri formati e qui in Sud Sudan si nota ancora di più. Gran parte dello staff qui ha imparato il lavoro in ospedale: sono persone motivate, abili, ma che magari non sanno leggere o scrivere, perché l’instabilità impedisce la formazione delle persone. Quando si devono somministrare farmaci o monitorare i pazienti, queste mancanze si vedono e purtroppo fanno la differenza».
AFRICA E COVID-19: PROTEGGERE IL PERSONALE
Ad oggi sono quasi 64.000 i casi di coronavirus registrati in Africa: 38.000 nell’Africa subsahariana; 53 i paesi colpiti. Medici con l’Africa Cuamm, organizzazione sanitaria italiana nata nel 1950 è impegnata in otto di questi: Angola, Etiopia, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Sud Sudan, Tanzania, Uganda.
Mentre ci si prepara all’arrivo del Coronavirus anche nelle aree rurali, si sa che sono proprio infermieri e medici i più esposti al contagio, pur essendo sempre troppo pochi in Africa. Per questo bisogna proteggerli e attrezzarli al meglio contro l’epidemia.
I problemi non si fermano con il Coronavirus, ma si accentuano. La gente teme l’epidemia e gli ospedali come fonti di contagio. Molte donne potrebbero scegliere di partorire a casa, per esempio, con grandi rischi per la loro vita.
Per mettere in sicurezza gli ospedali e le comunità in cui Medici con l’Africa Cuamm è presente, occorre assicurare:
- mascherine, tute, visiere e disinfettante per il personale sanitario, indispensabile e sempre troppo scarso;
- termometri a infrarossi, saturimetri per rilevare l’ossigenazione del sangue e concentratori di ossigeno per dare una terapia minima a chi ha bisogno;
- tende per il triage e unità di isolamento;
- formazioni del personale e delle comunità per la gestione di casi Covid-19;
È possibile sostenere Medici con l’Africa Cuamm con una donazione online su wwww.mediciconlafrica.org