Elisa, volontaria del Nido di Rebibbia: “Per i piccoli passeggiate e parrucchiere”
Con l’associazione “A Roma, insieme – Leda Colombini” Elisa da 17 anni entra tutti i weekend nella sezione Nido del carcere di Rebibbia. Lei e gli altri volontari fanno uscire i piccoli, tra escursioni nei parchi e laboratori nei musei: “I bambini si comportano sempre benissimo, tutti ci fanno i complimenti”
ROMA – “Lo scorso sabato siamo andati dal parrucchiere con 4 bambini con meno di due anni. In negozio, tutti ci hanno fatto i complimenti per il loro comportamento. Loro sono sempre buoni, così interessati da tutto quanto accade all’esterno”. L’“esterno” è ciò che è fuori della sezione Nido del carcere di Rebibbia, “loro” sono i bambini che ci vivono dentro. Al momento sono 11 (sono 52 in tutta Italia) e, come previsto dalla legge, hanno tra gli 0 e i 3 anni. A raccontare le loro giornate è Elisa, volontaria da 17 anni dell’associazione “A Roma, insieme – Leda Colombini”. “Da adolescente andavo nei campi scuola a dare una mano. Poi, quando con il lavoro mi sono sentita in una condizione di tranquillità, ho deciso di dedicarmi agli altri in una nuova forma. Un mio collega faceva il volontario con i bimbi degli istituti penitenziari, ho scelto di seguire il suo esempio. In tutti questi anni ho compreso anche ciò che davvero volevo fare: prima lavoravo nel settore della comunicazione, oggi ho cambiato completamente. Mi sono laureata in Scienze dell’educazione e sono un’educatrice domiciliare, lavoro con minori in difficoltà. L’esperienza a Rebibbia mi ha consegnato una nuova chiave di interpretazione dei miei desideri. Di fatto, la laurea e il mio nuovo lavoro mi sono molto utili anche per quella che è la mia attività al Nido. Perché ok essere volontari, ma è necessaria un’adeguata formazione”.
“A Roma, insieme” nasce nella Capitale nel 1991 e dal 1994 lavora con le donne e i bambini del carcere romano. “Come detto, oggi ci sono 11 bambini, ma siamo arrivati anche a 14. Nella maggior parte dei casi si tratta di figli di donne rom, che spesso riscontrano le maggiori difficoltà per accedere alle misure alternative, oppure hanno più figli e i più piccoli preferiscono tenerli con sé, lasciando i più grandi con i parenti. Oggi sono tutti bimbi rom a parte due di origine nordafricana. È più raro ci siano bambini italiani perché, tendenzialmente, è maggiore la probabilità di individuare un parente stretto sul territorio in grado di prendersi cura di loro. In generale, è possibile anche che al Nido ci siano due fratellini”.
I bambini che vivono al Nido vivono con le loro mamme, per loro ci sono i lettini e tutti gli arredi necessari. Nella sezione ci sono puericultrici e pediatra, un’infermiera e una cuoca (una detenuta assunta e retribuita). I più piccoli stanno dentro tutta la giornata, gli altri – la maggior parte – frequentano un asilo esterno. L’iscrizione a un nido esterno è una scelta personale: ci sono madri che vogliono consentir loro di vivere un’infanzia il più “normale” possibile, altre che, con il bimbo a scuola, possono lavorare con tranquillità. E nel weekend? Nel weekend entra in gioco “A Roma, insieme”. “Tutti i sabati andiamo a prenderli e facciamo con loro delle attività – spiega Elisa –. Una decina di noi, grazie all’art. 17 dell’ordinamento penitenziario, può entrare in carcere, prendere i bambini e portarli fuori dall’istituto, per poi restituirli alle madri nel pomeriggio. Tutto, naturalmente, avviene previa autorizzazione della madre e dell’amministrazione penitenziaria. Fuori ci aspettano altri volontari. Il rapporto volontario-bambino è 1:1. Solitamente usciamo con i bimbi più grandini, ma non è raro portare fuori anche i più piccoli: la mamma ci dà il biberon di latte e via, si va”. Le attività sono le più varie: dagli asili ai centri anziani; dalle case private che mettono a disposizione il loro giardino alle gite nella tenuta presidenziale di Castelporziano; dal Museo di Casal de’ Pazzi al Palazzo delle Esposizioni. Non mancano anche le attività organizzate all’interno dell’istituto: dalle feste di Natale a quelle di compleanno, dai laboratori di arteterapia a quelli mamma-bimbo. E poi c’è l’area verde, quel giorno del mese in cui i colloqui durano 4 ore di seguito: per dare la possibilità alle mamme di parlare con gli altri familiari, l’associazione organizza alcune attività per tenere occupati i bambini. “La nostra associazione lavora anche con le donne detenute della sezione femminile. In occasione del ‘Parla con noi’, per esempio, diamo loro la possibilità di esprimersi su un determinato argomento: per loro è molto importante sapere che la loro voce viene ancora ascoltata”.
Qual è il rapporto con le madri detenute? “Oggi godiamo di una grande fiducia da parte loro, ce la siamo costruita con il tempo. Noi non siamo né educatori né altro, ma cerchiamo sempre di dare loro input positivi. Per loro, spesso, siamo anche ponti con l’esterno: cerchiamo di seguirle quando hanno problemi burocratici, talvolta le affianchiamo nel difficile percorso del reinserimento lavorativo. Qualche volta accompagniamo i bambini – che non vivono in carcere – o i familiari ai colloqui, quando è difficile per loro trovare un mezzo di trasporto”. Quanto al rapporto con i bambini, Elisa sottolinea, oltre le fisiologiche peculiarità caratteriali di ognuno, la comune socievolezza: “Sono tutti abituati a stare in grandi famiglie, con intorno cugini, nonni, zii. Sono sociali, socievoli ed educati. C’è chi vive subito in serenità il distacco dalla mamma e chi, invece, ha bisogno di più gradualità. Noi lasciamo che ognuno faccia ciò che si sente, con i suoi tempi. Li ascoltiamo molto e li osserviamo. Personalmente, con molte madri, figli e famiglie sono ancora in contatto: una volta usciti dagli istituti, ci vediamo e ci frequentiamo. È un rapporto che non si interrompe”.
Ambra Notari