Dall'Occidente all'Asia e all'Africa. L'emigrazione dimenticata alla ricerca del paradiso perduto
Non ci sono state solo migrazioni verso Occidente: un tempo erano gli uomini “civili” ad approdare in Asia o in Africa per ritrovare una vita autentica
La mostra in corso a Parigi, “Il modello nero”, riapre un discorso rimosso dalla nostra memoria collettiva: il fascino che l’oriente e il sud del pianeta hanno esercitato su artisti, musicisti, filosofi, scrittori, marinai, soldati, gente comune. I cento quadri esposti al Musée d’Orsay non sono solo un episodio di quello che è stato superficialmente chiamato esotismo, ma un momento di un più vasto fenomeno che ha portato molti abitatori delle ricche città d’occidente a vivere dall’altra parte del mondo. Il grande pittore Paul Gauguin, ad esempio, che è rimasto fino alla sua morte, avvenuta nel 1903, nelle isole Marchesi, nel bel mezzo del Pacifico.
Il giovane, geniale scapestrato, per usare un eufemismo, Arthur Rimbaud, uno dei padri (a sedici anni!) della nuova poesia novecentesca scelse di abbandonare il sazio occidente per andarsene in giro prima con un circo e poi in Africa: tornò nella “civiltà” solo perché gravemente malato. Per non parlare di Robert Louis Stevenson, uno dei primi a narrare le contraddizioni dell’uomo moderno con “Lo strano caso del dottor Jekill e mr. Hyde”: anche lui scelse il centro del Pacifico per tentare di dimenticare ed essere dimenticato da una “civiltà” in cui non si riconosceva più, e dalle cui pretese colonizzatrici difese gli indigeni delle Isole Samoa. Ma sono innumerevoli gli uomini (di cultura e non) che scelsero di lasciare le comodità – e l’inquinamento – d’occidente per iniziare una nuova vita. Solo per fare un nome, lo scrittore e giornalista Lafcadio Hearns, nato in Grecia ma di origini irlandesi, che prese la nazionalità nipponica e scelse di passare il resto della sua vita nel paese del Sol Levante. Ed è nota l’attrazione che esercitarono l’oriente, soprattutto la Cina non ufficiale e le montagne del tetto del mondo, sul grande giornalista Tiziano Terzani. Sarà un caso, ma uno dei filosofi più influenti tra Ottocento e Novecento, Schopenhauer, aveva come punto di riferimento la mistica orientale, soprattutto quella induista.
Il perché di questo richiamo poggia su molte ragioni: il sud e l’est sono parti apparentemente separate di un “altrove” desiderato in un momento storico in cui il materialismo ottocentesco stava mostrando le sue crepe e i suoi limiti. La violenza e il vizio non solo non erano stati cancellati, ma anzi erano divenuti parte integrale della realtà, e allora la soluzione poteva essere o il ritorno ad una concezione spiritualistica o all’addio all’occidente.
Gauguin scriveva che desiderava soprattutto fuggire “dalla lotta europea per il denaro”, e mentre era in un’isola della Martinica raccontò di aver finalmente visto un “paradiso” in cui “c’è tutto per essere felici”. Nell’uomo c’è sempre una sorta di nostalgia, lo sapeva anche il pagano Platone, di un Altrove perduto. Il grande pittore voleva dire che l’altrove “primitivo” gli stava lentamente far riscoprendo la vera vita, quella della semplicità, dell’amore, dell’accontentarsi e del godere della bellezza – gratuita – della natura.
Marco Testi