Cultura digitale: il nuovo libro di Padula per “provare a spiegare il cambio di paradigma in corso intorno alle teorie dei media”
Oggi “i media siamo noi”, lo slogan di Massimiliano Padula, docente della Pontificia università lateranense, che ha appena pubblicato la sua quinta monografia dal titolo “Comunica il prossimo tuo – Cultura digitale e prassi pastorale” (ed. Paoline). Un libro scritto per i suoi studenti ma anche per chi si occupa di comunicazione ad ogni livello nella Chiesa, “mi permetterei di consigliarlo a tutti coloro i quali non hanno ancora ben compreso questo cambio di paradigma in corso, questo processo di naturalizzazione della tecnologia”, le parole di Padula che il Sir ha incontrato per parlarci del suo ultimo lavoro, una finestra sulla situazione attuale nella quale sono invisibili i confini tra cosa è mediale e cosa non lo è.
Nel bene o nel male, l’argomento che più di altri è sulla bocca di tutti quotidianamente sembra essere quello della comunicazione, soprattutto dopo l’avvento dell’era digitale che ha distrutto i confini tra chi costruiva l’informazione e chi ne fruiva. Oggi “i media siamo noi”, lo slogan di Massimiliano Padula, docente incaricato di sociologia e comunicazione nell’Istituto pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia università lateranense, che ha appena pubblicato la sua quinta monografia dal titolo “Comunica il prossimo tuo – Cultura digitale e prassi pastorale” edito da Paoline (pg. 123 – 10 €). Un libro scritto per i suoi studenti ma anche per chi si occupa di comunicazione ad ogni livello nella Chiesa, “mi permetterei di consigliarlo a tutti coloro i quali non hanno ancora ben compreso questo cambio di paradigma in corso, questo processo di naturalizzazione della tecnologia”, le parole di Padula che il Sir ha incontrato per parlarci del suo ultimo lavoro, una finestra sulla situazione attuale nella quale sono invisibili i confini tra cosa è mediale e cosa non lo è, dato che la tecnologia è sempre più naturalizzata, socializzata e personalizzata, fino al punto che le applicazioni del nostro telefonino non sono altro che l’opportunità di soddisfare i nostri bisogni immediatamente.
Perché ha scritto questo libro?
Il primo motivo è la riflessione in relazione allo studio e al contesto accademico nel quale mi trovo ad operare nel quotidiano. Il secondo motivo invece è la sistematizzazione di una riflessione che ormai dura da qualche anno e ha trovato una prima organizzazione nel libro precedente che si intitola “Umanità mediale, teoria sociale e prospettive educative” scritto insieme a Filippo Ceretti sui media. L’obiettivo principale di questo libro è annusare e poi provare a spiegare il cambio di paradigma in corso intorno alle teorie dei media.
Non più considerati esclusivamente in chiave tecnicistica ed ecologica, ovvero media come ambienti, ma considerati sempre più in chiave antropologica.
In un momento nel quale proprio lei sottolinea come i media non esistono più e che anzi, i media siamo noi tutti, qual è il punto di intersezione tra Dio e i media?
Il titolo del libro si ispira al comandamento più umano che c’è, ovvero “Ama il prossimo tuo come te stesso”, cioè comportati in un certo senso, rendi la tua esistenza, la tua vita, simile a quella del tuo prossimo. Trasmetti la giustizia, la bellezza, la bontà che caratterizza il tuo vivere quotidiano anche al tuo prossimo. Il rapporto tra Dio e media c’è sempre stato, basti pensare alle riflessioni della Chiesa o la definizione di media come areopago del tempo moderno, elaborata e promossa da Giovanni Paolo II. I media sono certamente opera di Dio, in quanto l’uomo è creato e generato a immagine e somiglianza, ma i media sono soprattutto il frutto delle intensioni e dei progetti dell’uomo. Nei media, soprattutto quelli digitali, l’uomo proietta la propria umanità, per questo motivo i media siamo noi, in quanto in essi trasliamo la nostra qualità etica.
Possiamo costruire relazioni, generare azioni belle oppure di contro possiamo riflettere e riverberare l’ambiguo, il discutibile, il disvaloriale che ci caratterizza.
La naturalezza della persona che abita gli spazi mediali sembra, per certi versi, diversa da quella con la quale normalmente saremmo abituati a confrontarci in un ambiente come la strada. Lei definisce questo atteggiamento con i termini “plus umanizzazione” e “minus umanizzazione”. Cosa significa e come si spiegano queste variazioni della personalità?
Esiste una certa narrativa intorno a internet, il web e i media digitali, che spinge molto sul negativo. Molti demonizzano, molti inquadrano i media in chiave patologica, altri utilizzano il termine disumanizzazione, io invece credo che all’interno degli spazi on-line, cioè luoghi e territori di quotidiana interazione sociale, come forum di discussione, social network e gruppi whatsapp, che ormai comprendono porzioni significative del nostro vivere quotidiano,l’individuo tende ad eccedere di umanità, plus umanizzazione.Abbandona i tradizionali filtri, come buon senso, confronto, pazienza, perdono, temperanza e incontro, determinati da educazione, principi, valori e che caratterizzano il suo essere sociale. Molto spesso negli spazi on-line questa operazione di filtraggio tende a nascondersi e l’uomo radicalizza le proprie posizioni. Quindi si verificano episodi di turpiloquio, insulto, offesa ed altri ancora che solitamente nella vita reale non si registrano. Di contro, a volte, l’individuo si minus umanizza, cioè comprime le potenzialità dell’umano e tende a non intervenire, a non partecipare
. La cultura digitale è partecipativa e si fonda sulla condivisione, mentre l’individuo è fermo, non partecipa, non condivide, non entra nelle logiche archetipiche e naturali della cultura digitale e quindi difetta di umanità.
Si può trovare un equilibrio tra le due parti?
L’equilibrio si trova con l’educazione dell’umanità mediale, ispirata da valori guida, anche se questa non può eliminare il fenomeno della devianza, cioè della trasgressione da comportamenti socialmente accettabili, istituzionalizzati dalle norme o dalle regole. Pensiamo a fenomeni come cyberbullismo, heath speech, grooming, adescamento, ludopatie e pedopornografia on-line, cioè atteggiamenti deviati e in molti casi criminali che molto spesso sono la conseguenza della plus umanizzazione. L’individuo non si rende conto che on-line l’esistenza è reale, come l’esistenza off-line.
La soluzione è la presa di coscienza che non c’è differenza tra una vita off e on, come spiega il neologismo di Floridi “onlife”. Prendere coscienza di questo è il primo passo per trovare un equilibrio dell’esistenza che ci rende persone corrette, giuste, educate, filtrate anche negli spazi on-line.
L’evangelizzazione è perno della comunicazione. Non è un caso che anche Papa Francesco, come si evince da alcune delle citazioni riportate nel libro, poneva l’accento su di essa e sull’importanza dei media già dal 2002, quando era ancora cardinale.
L’evangelizzazione può svilupparsi, concretizzarsi, consolidarsi, attraverso gli strumenti di comunicazione. Dai vecchi media fino ad oggi, il rapporto tra evangelizzazione e comunicazione è consolidato e segue in modo parallelo lo sviluppo dei media. Dal post Concilio vaticano II fino alla Laudato si’, l’Evangelii gaudium o i messaggi per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, dove Papa Francesco riflette in alcuni passaggi sulle ricadute della dimensione mediale e uno sbilanciamento forte su quelle che sono le categorie umane, utilizzando la categoria della projimidad (prossimità). Jorge Mario Bergoglio la introduceva per definire come il comunicatore buono, bravo e giusto è quello che si fa prossimo come il buon Samaritano, che sceglie di non essere indifferente al moribondo sul ciglio della strada, che sceglie di non infierire su di lui, come spesso fa qualcuno negli spazi on-line, ma si ferma, lo guarda, lo prende in carico, lo porta in un rifugio sicuro e ne cura le ferite. Quindi comunica il prossimo tuo si ispira anche a questa categoria intorno alla quale si sviluppa una riflessione umana sulla comunicazione che è la prossimità.