Coronavirus e carcere: servono case per i detenuti che possono uscire
L’Area penale esterna chiama a raccolta il terzo settore con un bando per individuare gli enti pubblici e privati pronti ad accogliere i ristretti. 450 mila euro i fondi stanziati che si aggiungono ai 5 milioni arrivati da Cassa Ammende
Prima i 5 milioni di euro stanziati dal consiglio di amministrazione di Cassa Ammende, ora i 450 mila euro che arrivano dall’Area penale esterna del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità (Dgcm). Si rafforza la prima linea delle istituzioni impegnate a fronteggiare l’emergenza coronavirus nelle carceri facilitando l’accesso alle misure alternative per i detenuti che hanno i requisiti per uscire ma non possono farlo per mancanza di un domicilio idoneo. Affiancandosi al progetto lanciato qualche giorno fa da Cassa Ammende, il sistema dell’esecuzione penale esterna chiama a raccolta tutto il mondo del terzo settore e del privato sociale attraverso un bando pubblico rivolto alle comunità di accoglienza e alle case famiglia.
In quest’ottica, i Direttori degli Uffici interdistrettuali di esecuzione penale esterna (Uiepe) hanno indetto sul territorio di competenza una istruttoria pubblica di coprogettazione per individuare gli enti disponibili all’accoglienza dei detenuti con poche risorse ma in possesso dei requisiti per l’accesso alle misure deflattive: per favorirne il graduale reinserimento all’interno del tessuto sociale attraverso azioni concrete e mirate che, oltre a contrastare il rischio della recidiva, rafforzino la sicurezza sociale e contribuiscano alla prevenzione del contagio da coronavirus nelle carceri.
“Il bando – spiega una nota dal Dipartimento – è stato realizzato in condivisione tra la Direzione generale per l’esecuzione penale esterna e di messa alla prova del Dipartimento e la Direzione generale detenuti e trattamento del Dap, in linea con quanto già avviato con la Cassa delle Ammende e le Regioni e in raccordo con gli interventi di inclusione sociale già programmati e da realizzare nell’esercizio finanziario corrente. Lo scopo è l’avvio di un lavoro corale volto a costruire una rete di interventi, tra gli Uffici Interdistrettuali di esecuzione penale esterna, i Provveditorati regionali dell’Amministrazione penitenziaria e tutte le agenzie pubbliche e private implicate nel reinserimento sociale delle persone in esecuzione penale, attraverso lo strumento della coprogettazione”.
Agli enti o alle associazioni che vinceranno il bando, gli Uffici interdistrettuali corrisponderanno un contributo finanziario di venti euro giornalieri (circa 600 euro al mese) per ciascuna persona accolta “fino alla concorrenza del finanziamento, concorrente con quello, più cospicuo, erogato da Cassa Ammende, per l’identico importo”.
“Rispetto all’intervento di Cassa Ammende – spiega Lucia Castellano, direttore generale per l’esecuzione penale esterna e di messa alla prova del Dgmc – si tratta di un contributo diverso ma per un progetto che ha le stesse finalità. Lo stanziamento è diverso nell’ammontare delle risorse stanziate e nei responsabili: gli Uepe per noi e le Regioni per il progetto di Cassa Ammende. Sarà interessante verificare l’andamento in corso d’opera, la rete è la stessa e con questo contributo diamo ulteriore energia per farla funzionare”.
La somma stanziata da Cassa Ammende favorisce il passaggio alle misure non detentive sia per i detenuti che hanno i requisiti giuridici per accedervi, sia per chi si trova in condizioni di incompatibilità con il regime carcerario per motivi sanitari. Gli interventi si concentrano sulla ricerca di alloggi pubblici o privati di cura, di assistenza o accoglienza delle persone in stato di detenzione o sottoposte a provvedimenti giudiziari che limitano la libertà personale e riguardano in particolare i detenuti maggiorenni privi di risorse economiche e comunque in stato di difficoltà per l’indisponibilità di un alloggio o senza prospettive di attività lavorativa.