Cent’anni di arte. Adolf Vallazza, scultore gardenese domenica scorsa, 22 settembre, ha compiuto 100 anni
E' in una chiesa che, in questi giorni, si è conclusa la maratona di esposizioni organizzata in occasione dei 100 anni di Vallazza
Le mani dalle dita nodose raccontano una lunga storia di anni trascorsi a dar forma a pezzi di legno, plasmando il tempo che li ha resi contemporaneamente duri e fragili e valorizzando quei nodi e quelle venature che, da difetto, diventano ora un elemento unico, distintivo e caratterizzante.
“Certo, 100 anni sono 100 anni, ma non mi lamento perché questo (e appoggia l’indice sulla fronte) funziona ancora”. A parlare è Adolf Vallazza, scultore gardenese che domenica scorsa, 22 settembre, ha compiuto 100 anni. Un traguardo, questo, che è stato celebrato nell’arco di tutto l’anno con una serie di mostre, a partire dall’antologica inaugurata nell’autunno scorso al museo Eccel-Kreuzer di Bolzano.
L’ultima esposizione, in ordine di tempo, dal titolo “Sacro – Profano” è stata ospitata nella chiesa di San Barnaba a Bondo, in val Giudicarie. L’edificio seicentesco, le cui origini risalgono al Medioevo, ha accolto in queste settimane una serie di totem, troni e composizioni realizzati da Vallazza, che richiamano l’astrattismo dinamico che si eleva armonicamente verso l’alto. Una sorta di ponte tra cielo e terra e tra terra e cielo, che trova nel legno la sua struttura portante.
Adolf Vallazza nasce il 22 settembre 1924 a Ortisei. È figlio d’arte: suo padre Hermann è scultore in ferro e la madre Gisela è la figlia del pittore-scultore austroungarico Josef Moroder Lusenberg, capostipite di una serie di artisti e che sarà considerato il più importante pittore ladino. Fin da piccolo impara a destreggiarsi tra scalpelli e sgorbie per dare forma a quel legno che è parte integrante della sua quotidianità. “Il legno – racconta ai microfoni della Rai locale in un’intervista in occasione dei suoi 100 anni – è per me una delle materie più belle. Sarà perché sono nato in mezzo ai cirmoli dei nostri boschi, tant’è che fin da piccolo ho compreso e amato la bellezza della natura del legno”.
Legno, che in Val Gardena, è sinonimo di pane quotidiano. Perché sono proprio quei tronchi profumati, sapientemente intagliati e scolpiti, ad essere una delle principali attività di una valle a forte vocazione turistica. Dopo un breve apprendistato nella bottega di Alois Insam Tavella, Vallazza apre una la sua prima bottega d’arte a Sotria di Ortisei. Qui diviene un esperto scultore di Vie Crucis in legno. “Quante ne ho scolpite – ricorda oggi – per mantenere la famiglia”. Una famiglia numerosa quella che ha formato con Renata Giovannini, con la quale mette al mondo quattro figli: Margherita, Sabina, Giorgio e Sonja. Ma per Vallazza non basta scolpire statuine e formelle della Via Crucis, belle sì, ma tradizionali e figurative. Le sue mani d’artigiano cercano qualcosa di diverso per dar voce al suo spirito d’artista. E così, nei ritagli di tempo, una volta terminato i lavori che gli vengono commissionati, torna nel suo studio e inizia a provare e sperimentare. Forme astratte che incastrandosi tra loro danno vita a nuove figure capaci di dare un volto all’astrazione. Per fare le sue sperimentazioni Vallazza non può usare legno nuovo, quello serve per i suoi lavori quotidiani. Non può rischiare di sprecarlo. E così va di maso in maso a recuperare assi e tavole vecchie, quelle che nelle venature e nei nodi conservano il passato più antico. Nascono così le prime opere d’arte, i primi totem, archetipo ed espressione del mondo dell’artista. Il mondo ladino, quello della val Gardena, quello dei miti e delle leggende, dove – come nelle migliori delle tradizioni – i racconti nascondono una morale universale. Negli anni Sessanta Vallazza inizia ad allestire le sue prime mostre personali in Italia e all’estero e nel 1968 iniziano ad arrivare nel suo studio importanti critici d’arte milanesi, come Garbaldo Marussi, Luciano Budigna e Giorgio Mascherpa. La sua fama supera il valico del Brennero e negli anni Settanta inizia per Vallazza un periodo molto fecondo di collaborazione con l’architetto tedesco Neckenik di Neuwied, che gli commissiona diverse opere monumentali per chiese e luoghi pubblici. Esattamente cinquant’anni fa, nel 1974, pubblica la sua prima monografia con i testi del critico d’arte veneziano Giuseppe Marchiori e le foto di Gianni Berengo Gardin. L’anno successivo espone per la prima volta a Milano e, nel 1978 allestisce una personale nella galleria milanese San Fedele, dove conosce il regista Ermanno Olmi. Nel 1979 la banca di Modena, S. Giminiano e Prospero gli commissiona l’arredamento artistico, costituito da bassorilievi, tavoli e sedie tutt’ora visibili al pubblico. Seguono poi mostre a Venezia e Ferrara. Per i suoi sessant’anni, nel 1984, esce la seconda monografia. La copertina del libro è curata da Bruno Munari. Tra il 1986 e il 1987 ci sono vari incontri con l’art director dell’Olivetti (e futuro direttore di Palazzo Grassi a Venezia) Paolo Viti, che gli organizza una grande mostra personale al museo P.A. Garda di Ivrea. Seguono altre mostre personali e collettive in scenari artistici prestigiosi. Tonino Guerra, indimenticabile scrittore, poeta e scenografo, gli dedica una poesia, nel 2000, e nel 2003 una grande personale viene allestita nella chiesa di S. Maria della Neve a Pisogne (Brescia). Il titolo della mostra è “Fratello legno” e le foto sono di Gianni Berengo Gardin. Le opere di Vallazza sono oggi presenti in numerose collezioni, tra le quali il Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck, i musei d’arte moderna di Bolzano e Torino e il Mart di Rovereto. Tra le tante mostre che hanno scandito la vita artistica di Vallazza c’è anche quella allestita, nel 2010, a Bolzano, nel suggestivo chiostro dell’abbazia benedettina di Muri-Gries.
Ed è in una chiesa che, in questi giorni, si è conclusa la maratona di esposizioni organizzata in occasione dei 100 anni di Vallazza. Un’esposizione organizzata in collaborazione con il Mart di Trento e curata da Roberta Bonazza, che racconta il legame “Sacro – profano” che unisce da sempre le sue opere. “Tutto ha inizio dal ciclo vitale dell’albero – spiega Bonazza –, che mette a disposizione il suo duraturo apparato scheletrico per essere reso di nuovo morbido alle carezze e significativo allo sguardo”.
Tra le opere in mostra a Bondo ce n’è una intitolata “Maternità”. Una figura femminile trattiene nel grembo il figlio e questo ricade in un grande specchio rotondo, poggiato a terra, in cui si riflette l’immagine della cupola sovrastante della Vergine Maria che ha in braccio Gesù bambino. La maternità umana che racchiude in sé la grandezza di un Dio che si fa bambino.
“La voglia di fare arte è sempre viva. Non l’ho mai persa, perché sta dentro di me – racconta Vallazza alla Rai ladina in un’intervista condivisa su Fb –. Continuo a disegnare. Il disegno è la parte fondamentale di tutto il mio lavoro. Quanti disegni ci sono dietro ad ogni singola opera. Da dove vengono le idee? Quelle, insieme ai temi e alle motivazioni nascono negli anni, con il tempo, osservando il mondo. Che è un posto meraviglioso”.